(Mario Berardi)

Da Parigi uno scandalo politico-finanziario è giunto sino a Torino e Roma perché coinvolge il numero uno del Gruppo automobilistico Stellantis (Fiat), il manager Carlos Tavares: il presidente Macron ha contestato apertamente la remunerazione del manager nel 2021, pari a 19.1 milioni di euro, definendola “astronomica, scioccante, eccessiva”. Tavares ha ribattuto sottolineando i risultati finanziari ottenuti sotto la sua guida da Stellantis, ma il leader politico francese ha tenuto il punto, annunciando “una battaglia a livello europeo perché ci siano remunerazioni che non possano essere esagerate”. Nell’ultima assemblea degli azionisti Stellantis, il governo di Parigi (che detiene il 6,15% delle azioni) ha votato contro la remunerazione di Tavares, determinando il no (52%) del consesso societario; tuttavia il risultato non è definitivo, perché la scelta finale tocca al Consiglio d’Amministrazione presieduto da John Elkann.

L’iniziativa di Macron ha suscitato scalpore perché la contestazione delle retribuzioni “scandalose” dei manager nel capitalismo globale è giunta da un leader liberale, sostenitore dell’economia di mercato, proveniente dal mondo dell’alta finanza; il presidente francese ha avvertito che l’incontro tra la democrazia delle istituzioni repubblicane e la logica del mercato deve avvenire nel rispetto di criteri di giustizia, coniugando diritti e doveri, con il senso del limite, come aveva spesso esortato un grande statista italiano come Aldo Moro.

Potremmo citare, nell’area culturale cristiana, la dura critica al mito della ricchezza contenuta nell’epistola dell’apostolo Giacomo o l’elogio della giustizia sociale dei padri greci della Chiesa (San Giovanni Crisostomo, San Gregorio di Nazianzo…), ma è la realtà odierna a parlare, con la crescita delle povertà, con lo sviluppo delle contestazioni sociali (nella Francia di Macron un elettore su due ha espresso un voto di protesta contro le istituzioni, con gravi rischi per la democrazia). Anche per il centrista Macron non basta la rivendicazione dei diritti e delle libertà personali senza un adeguato rispetto del tessuto sociale e comunitario.

In Italia, sinora, il caso Tavares non ha avuto vasta eco, anche perché i grandi media, espressione prevalente del mondo industriale e finanziario, hanno denotato un certo imbarazzo nell’affrontarlo. Si è distinto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, con una netta presa di posizione: “Credo una simile retribuzione si configuri come un vero e proprio schiaffo”, ha detto il ministro sottolineando il momento in cui viviamo con “…l’inflazione, i salari bloccati, i costi dell’energia”. È francamente difficile spiegare i 19 milioni di Tavares al cassa-integrato Fiat che percepisce 10 mila euro annui!

C’è poi un’altra questione sollevata dal ministro: i finanziamenti dello Stato al comparto industriale per la transizione energetica e lo stesso sistema delle assicurazioni sociali.

La domanda è implicita: questi danari andranno tutti allo sviluppo o contribuiranno ai bonus dei manager? La questione vale anche per Torino e il Piemonte nei rapporti con Stellantis, ad esempio nell’ipotesi di un nuovo piano regolatore per le aree dismesse di Mirafiori su cui si inizia a riflettere.

La Costituzione, saggiamente richiamata dal presidente Mattarella, indica una linea di condotta all’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…; è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

La “questione sociale” merita di tornare in primo piano nel dibattito politico ed economico, anche per le nuove tragedie determinate dalla pandemia e dall’atroce guerra della Russia contro l’Ucraina. Non è in discussione la libertà economica, ma la giustizia e il ruolo equilibratore dello Stato nell’economia. Per questo la svolta di Parigi non è tattica, ma coinvolge i valori di fondo della società democratica.