Ci sono momenti in cui si fatica a distinguere il cielo e la terra.

Il cielo è basso, le nuvole sono scortesi…
una Natura incerta come una donna non
sempre mantiene la parola data (Dickinson)

Sembra quasi che il cielo si appoggi alla terra, scenda in basso, si confonda, in una intimità inattesa. La vita è incerta, la promessa di bene si offusca.
Rose Akumu si era follemente innamorata, tanto da abbandonare casa e famiglia per seguire quell’uomo. Dal suo villaggio del nord ovest dell’Uganda, lo aveva seguito fin nelle foreste dell’est della Repubblica Democratica del Congo, in cerca di fortuna. Quando era nata Anita, con gravi danni cerebrali per un’asfissia neonatale, Rose fu invitata a tornarsene a casa. L’illusione di un grande amore fu sommersa dallo stigma, dal dolore e dall’abbandono.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera (Quasimodo)

Era arrivata veloce l’oscurità. Anita cresceva, ma non poteva tenere la testa dritta, né tantomeno stare in piedi o camminare, né mangiare da sola o badare a sé stessa.
Il dolore e lo sconforto portarono Rose dal missionario Comboniano Padre Pietro, conosciuto tanti anni prima. Il suo sguardo buono l’aveva seguita, misteriosamente, nel tradimento della famiglia e dell’antica fede. Ritrova amici e cura. Il cielo sembra tornare splendente, ma la malattia la colpisce crudelmente: un’infezione implacabile, incontrata “per amore”.

Dove la mente è senza paura e la testa si tiene alta,
dove la conoscenza è libera…
in quel cielo della libertà, Padre mio,
lascia che il mio paese si risvegli. (Tagore)

Tutto cambia: al suo capezzale solo amici e preghiere. Anita ride, sente le voci amiche, le riconosce da lontano. La sorella di Rose, Francesca è conquistata dal cielo che bacia la terra. Alla morte di Rose, si prende cura di Anita, che, così come è, sa di essere un bene per tutti. E dopo la scomparsa di Francesca, è la cugina Susan ad accoglierla come sorella e figlia.
Il 15 aprile Anita compiva quarant’anni, aveva ancora la pelle liscia, mai avuto una piaga da decubito. La pelle era liscia come la buccia di una pesca. Il suo riso sonoro non era mai venuto meno. Poi il 29 aprile ci ha lasciati, senza far tanta strada, perché nella sua vita cielo e terra si sono baciati.

Si chiamava Fuambe (“non ho casa”) Mungungeyo (“Dio sa”). Ora sei a casa: da Dio.

Foto tratta da Pixabay