La scena inaspettata davanti ai nostri occhi è quella di un prete che, in maniera informale, ma convintamente profonda ed emozionata, si presenta al suo vescovo per rinnovare le promesse fatte 53 anni prima, nel giorno stesso della sua ordinazione sacerdotale.
Quel gesto di rinnovare i voti colpisce per la sua semplicità, intensità ed intimità, che rispettiamo. Ma ciò che non possiamo tacere è il messaggio che quel gesto porta con sé, oggi più che mai urgente: la possibilità, e diremmo anche il diritto, di rinnovare le proprie promesse.
Non solo quelle fatte a Dio, ma anche quelle fatte a sé stessi, al proprio coniuge, al proprio lavoro, alla società di cui facciamo parte. Viviamo in un’epoca che ci invita al cambiamento, ma raramente al rinnovamento.
Cambiare può voler dire fuggire da ciò che non funziona più. Rinnovare, invece, è un atto più difficile e atemporale: vuol dire (sapere) tornare alle origini delle proprie scelte, riscoprirne il valore, riaccendere il fuoco sotto la cenere delle abitudini.
Quante promesse silenziose vivono nelle nostre giornate? Quelle tra coniugi stanchi, ma ancora innamorati. Quelle sussurrate al mattino da un genitore che, nonostante la fatica, continua ad alzarsi per accompagnare i figli nella vita. Promesse di impegno, anche sul lavoro, in un mondo che spesso dimentica il senso del dovere e dell’appartenenza. Promesse sociali, civiche, da rinnovare ogni volta che assistiamo a un’ingiustizia, una disuguaglianza, un’occasione mancata di fare il bene.
Quel gesto, antico e moderno allo stesso tempo, ci dice che non servono sempre eventi straordinari per rinnovarsi. Basta un gesto consapevole, una parola sincera, una preghiera dal cuore, uno sguardo d’amore, una benedizione affettuosa.
Le promesse, come le piante, hanno bisogno di acqua, luce, cura. Rinnovarle significa prendersene la responsabilità, con realismo, con fiducia e speranza. Forse è questo il vero miracolo che ciascuno può compiere ogni giorno scegliendo, ancora e ancora, di essere fedele a ciò che conta.
Rinnovare non è un gesto solo dei santi. È un gesto da uomini e donne che, nella fragilità, sanno ancora riconoscere ciò che vale la pena tenere vivo. E allora, in silenzio, o magari ad alta voce, proviamo anche noi a dire il nostro nuovo “sì”. A chi amiamo. A ciò in cui crediamo. A ciò che siamo stati e siamo ancora, a ciò che vogliamo diventare.