È davvero una festa bella.
Già il titolo è bello: Festa del Corpo del Signore!
Cosa c’è di più bello del corpo umano? Leonardo Da Vinci ne rimase talmente affascinato che, in un disegno celeberrimo, lo ritrasse come evento di perfezione. Esso presenta nella sua forma dal volto alle braccia, ai piedi, l’energia vitale, l’apertura al mondo, lo slancio verso l’alto, l’umile piegarsi verso terra da cui è tratto. Nei suoi gesti è visibile l’anima.
E poi, il Corpo del Signore è ancora più bello a 30 anni, quando in esso è disegnata la sua vicenda vitale. Giunto al termine del suo cammino verso Gerusalemme, e già sapeva che là, nella sua vita, sarebbe stato il termine, nel congedo dei suoi non lasciò, in sua memoria, un codice scritto con leggi, né uno statuto o un regolamento, fece una cena, la cena rituale ebraica nei giorni di Pasqua. La cena è la festa bella del nostro vivere e convivere.
Ci racconta Marco (Mc. 14,12-26) che il primo giorno degli azzimi di quell’anno, Gesù mandò due discepoli a cercare a Gerusalemme la stanza in cui preparare la mensa, perché voleva con loro “mangiare la Pasqua”, la cena rituale che ogni anno celebrava, e ancor oggi celebra, il passaggio del popolo ebraico dalla schiavitù di vita mortificata in Egitto, alla libertà di un ben-essere vissuto nella terra promessa.
Al termine della cena, quando sul tavolo era rimasta l’ultima focaccia e un calice di vino, Gesù sbocconcellò il pane, invocò la benedizione, ne distribuì un pezzo a ciascuno, dicendo: “Prendete, mangiate questo pane che è il mio corpo; poi passò il calice pieno di vino e disse ancora: “E’ il mio sangue dell’Alleanza che è versato per molti”.
Da quel giorno dell’anno 30, noi cristiani mangiamo la Pasqua, il Corpo donato a noi da Gesù, nel segno del pane spezzato.
La lettura proposta quest’anno come Vangelo per la Festa del Corpus Domini, è il racconto di Luca al capitolo 13, della moltiplicazione dei pani e dei pesci, in un luogo deserto, durante il viaggio di Gesù con la folla che lo segue da Cafarnao a Gerusalemme. Ci racconta che vi erano cinquemila uomini. È sera, è l’ora del pasto, occorre cibo. E Gesù prese i cinque pani e i due pesci che un ragazzo del gruppo ha portato con sé. Quando li ebbe tra le mani, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, li spezzò, li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero alla folla. Vengono usati cinque verbi che, allora come oggi, scandiscono la celebrazione della cena di quel Giovedì santo.
E noi, facendo quella cena, mangiamo la Pasqua, il Corpo donato come pane e beviamo la coppa di vino, coppa versata come alleanza di noi con Dio. Tutta la realtà del nostro essere cristiani e del nostro vivere da cristiani, è lì in questa celebrazione, nostro unico e prezioso tesoro di vita vissuta in Cristo, con Cristo e per Cristo, ed è anche il punto più alto di vita umana vissuta.
Il Corpo-Sangue di Cristo è il concentrato di storia e di relazioni che Gesù in persona visse e vive in mezzo a noi. Egli si è fatto e si fa continuamente carne, vicinanza, condivisione di affetti, fratellanza, racconto, appartenenza, canto … Si fa uno di noi, fino alla fine dei tempi. Per questo la Cena, ripetuta ogni domenica, è la sorgente di comunione che fa di noi “un solo corpo”.
Lc 9,11-17
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.