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Estate 2025: la generazione iperconnessa si scopre improvvisamente stanca. E cerca ossigeno lontano dagli schermi.
TechSci Research – agenzia internazionale specializzata nell’analisi dei mercati tecnologici e dei consumi emergenti – segnala un’impennata nei cosiddetti “Digital Detox Retreats”, ritiri silenziosi, immersi nella natura, pensati per spegnere i dispositivi e riaccendere la mente. Non si tratta solo di vacanze alternative: sono risposte consapevoli al burnout digitale, all’ansia da notifica, alla saturazione di stimoli che ci ruba sonno, pace e attenzione. Tra pratiche meditative, escursioni, laboratori artigianali e silenzi condivisi, questi retreat diventano luoghi in cui disconnettersi è un atto di libertà. Ma per me non è una novità.
Un’eco del mio passato riemerge infatti in queste pratiche moderne. I campi estivi in montagna, con le parrocchie di mio cugino sacerdote, allora responsabile del settore giovanile a Luino. L’unica regola non negoziabile: niente cellulari. Li si lasciava a casa, punto. E si partiva. Io, che non conoscevo nessuno (e, peggio, arrivavo con l’etichetta del “nipote del prete”), entravo in quell’esperienza con un senso di spaesamento quasi violento. Ma subito questo svaniva: lo spaesamento era generale e condiviso, e quindi automaticamente annullato.
Lì ho capito cosa significhi non avere ostacoli tra me e me stesso. Ho sperimentato lo stupore di giornate intere senza specchi digitali, in cui ritagliarsi tempo per il silenzio, per ascoltare ciò che accade dentro, diventava naturale. Giorni in cui il dialogo con Dio trovava spazio, non perché imposto ma perché reso possibile. E con esso la possibilità di crescere interiormente, di conoscersi, curarsi, migliorarsi. Di guardare davvero gli altri e scoprire preziosità inimmaginate.
Quei giorni hanno fatto nascere amicizie che conservo ancora oggi, ma soprattutto un’intuizione: che vivere senza schermo è ancora vivere, e forse anche di più.
Sono anni che dico che mi piacerebbe ripetere un’esperienza del genere, è un sogno che conservo nel cassetto e che forse, riempiendomi di scuse fra lavoro, relazioni, reperibilità e comodità, rifuggo perché non ho la forza di realizzare.
Oggi che i “Digital Detox Retreats” spuntano ovunque – dalla Toscana alla Thailandia – non posso che vederci una forma di anelito collettivo. Sono il segnale di un bisogno diffuso di ristabilire un contatto autentico con ciò che siamo, con ciò che desideriamo. Non per fuggire, ma per tornare. A sé stessi. Agli altri. A Dio.