Foto tratta da Freepik

Negli ultimi giorni, le tappe torinesi di Marco Mengoni e quelle milanesi di Lazza hanno dominato le cronache personali e digitali. La mia fidanzata era tra il pubblico del concerto di Milano, con un’amica: tra video, storie e dirette, il concerto è diventato un contenuto da produrre.

Io, invece, ho un ricordo di qualche anno fa: uno dei pochi concerti in uno stadio a cui abbia partecipato (preferisco i teatri). Ero l’unico, pur da fotografo, a non tirare fuori il cellulare. Non ne sentivo il bisogno. Volevo che quel momento restasse mio, inciso nella memoria.

Nel 2023, un sondaggio YouGov ha mostrato che il 22% di chi va a concerti scatta regolarmente foto o video e il 12% li condivide quasi sempre sui social. Le compagnie telefoniche lo sanno bene: le reti potenziate sono lì per far caricare tutto in tempo reale. L’importante non è esserci, ma mostrarlo.

Nel 2017, Gal Zauberman, docente alla Yale School of Management, ha pubblicato uno studio secondo cui l’intenzione di condividere un’esperienza sui social riduce la capacità di viverla pienamente. L’attenzione si sposta dal presente alla sua rappresentazione futura, e si perde qualcosa per strada. Il risultato è evidente: una distorsione collettiva che genera una forma sottile ma diffusa di invidia. Chi guarda le storie si sente escluso, chi le pubblica recita un copione: “Io sì, tu no!”. È il trionfo dell’apparenza sulla presenza.

Alcuni artisti, come gli Iron Maiden, hanno preso posizione. Il loro manager ha chiesto al pubblico di vivere i concerti come negli anni Ottanta: occhi aperti, telefoni spenti. Jason Okundaye, sul Guardian, ha scritto che dovremmo lasciare che i ricordi restino emozioni, non pixel.

Il mio silenzio digitale non era snobismo, ma scelta. Non volevo dimostrare nulla. C’ero io, la musica, la luce, la voce che riempiva lo spazio. Tutto mi è rimasto dentro, senza bisogno di salvarlo da nessuna parte. Vivere davvero significa, a volte, non portare via nulla se non ciò che ci ha attraversati.

Forse la libertà sta proprio lì: nel non dover dimostrare nulla a nessuno.