Il Libro della Genesi ci da testimonianza dell’accoglienza di Abramo ai tre ospiti inattesi nell’ora più calda; l’episodio delle querce di Mamre testimonia la comunione più profonda tra Dio e gli uomini non è tanto di natura culturale, ma piuttosto conviviale. L’ospitalità è ben più che l’adempimento di una legge. Sotto la tenda dell’uomo credente, rappresentato da Abramo, diventa un’occasione singolare per fare esperienza di Dio, accogliendo lui stesso nei “fratelli più piccoli”. Gesù stesso lo dirà a chiare lettere nel dialogo “con i benedetti” del giudizio finale: “Signore, quando ti abbiamo visto… e ti abbiamo dato…?”. E il re risponderà: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Offrire cibo e ristoro allo straniero rientra tra i doveri prescritti a ogni israelita, con cui si ravviva la memoria che ogni figlio di Abramo è necessariamente straniero e ospite in questo mondo.
Nel viaggio verso Gerusalemme Gesù entra in un villaggio e viene ospitato da Marta, che sa bene come accoglierlo nella sua casa: in pochi istanti, è già presa da “molti servizi” perché l’ospite possa ricevere il meglio e sentirsi rinfrancato dalle fatiche del suo cammino. Nel compiere quest’opera – indubbiamente buona –, il vangelo segnala un rischio: quello di concentrarsi eccessivamente sulle cose da fare, anziché prendersi la libertà di godere – semplicemente – della presenza dell’altro. È la grande tentazione a cui il cuore è esposto quando ci troviamo di fronte a qualcuno: esibire il profilo migliore e le nostre capacità per indurre l’altro ad avere un’opinione positiva della nostra persona. In modo molto sottile, quasi senza accorgercene, l’ospite diventa così un “pretesto” per metterci in mostra e per superare quel faticoso esame a cui la realtà sempre ci sottopone.
Da quest’ansia sembra invece del tutto affrancata Maria, che si concede il lusso di mettersi in ascolto del Maestro, senza attivare alcun cerimoniale di accoglienza. Alla figura di Marta si unisce dunque quella di Maria che non intende perdere una parola del Maestro e per questo si pone ai piedi di Gesù.
Il confronto tra Marta e Maria ci porta a dire che la prima è l’icona della vita attiva mentre la seconda della vita contemplativa. Dobbiamo sgomberare questo luogo comune. Maria è colei che sa scegliere in un ordine di priorità, Marta è l’icona della persona a cui tutto sembra importante ma perde di vista l’ordine delle cose. Allora, come vivo le mie giornate? Quali priorità mi indico? Come vivo la mia preghiera e come la desidero e la avverto come la sola cosa di cui c’è bisogno?
Diceva Papa Benedetto XVI: “Cari amici, questa pagina di Vangelo è quanto mai intonata al tempo delle ferie, perché richiama il fatto che la persona umana deve sì lavorare, impegnarsi nelle occupazioni domestiche e professionali, ma ha bisogno prima di tutto di Dio, che è luce interiore di Amore e di Verità”.
Lc 10,38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».