Due vicende giudiziarie hanno dominato la scena politica e mediatica: l’inchiesta della Procura di Milano sulla discussa gestione urbanistica della Capitale finanziaria, con 74 indagati tra cui il sindaco Sala (Pd); e il ricorso in Cassazione della Procura di Palermo contro l’assoluzione in primo grado del ministro Salvini, per il “blocco” in alto mare della Open Arms, piena di profughi (compresi donne e bambini).

Sulla tempesta scatenatasi su Milano le reazioni politiche si sono prevalentemente divise in colpevolisti e innocentisti (sottovalutando il compito costituzionale della Magistratura), con due eccezioni di segno opposto: la premier Giorgia Meloni e il leader pentastellato Giuseppe Conte. La Presidente del Consiglio ha escluso le dimissioni di Sala, smentendo la campagna contraria del destra-centro perché l’iscrizione nel registro degli indagati non significa “de facto” colpevolezza. Ovviamente la Meloni pensava ai suoi inquisiti difesi a spada tratta: dalla ministra Santanchè al sottosegretario Delmastro… Ma, secondo alcuni media, la prudenza è dettata anche dall’esigenza di non “rompere” con l’opposizione in un frangente politico molto difficile, per le guerre e lo scontro sui dazi.

Scelta opposta dell’ex premier Conte: pur appartenendo al “campo largo” è stato in prima fila con il sindaco Sala, chiedendone le dimissioni; analoga linea hanno assunto i senatori M5S e Palazzo Madama, rischiando lo scontro aperto con i Dem; gli attacchi più duri contro le scelte della Schlein vengono ogni giorno da “Il Fatto quotidiano”, vicino agli ex grillini. In questo modo Conte conferma la sua competizione con la segretaria dem per la guida del centro-sinistra: si muove un po’ come Craxi con Forlani ai tempi della prima Repubblica, al di là del rapporto di forza elettorale. Un aperto potere di veto.

Ed anche a Torino permane il “no” del M5S, con Appendino, alla riconferma del sindaco Lo Russo, ponendo altri problemi alla gestione del “campo largo” nel voto del 2027. La stessa vicenda giudiziaria che ha coinvolto l’onorevole Mauro Laus, l’assessore Mimmo Carretta e la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo, vede tra i più critici i pentastellati.

Ma la crisi più rilevante tra M5S e Pd riguarda la politica estera: uniti, giustamente, contro la barbarie di Netanyahu a Gaza, Dem e Grillini sono su fronti opposti sul conflitto russo-ucraino, per la confermata linea neutralista del M5S. Ancora in questi giorni, di fronte alla revoca del concerto a Caserta dell’artista russo Georgiev, fedelissimo di Putin, i componenti pentastellati dalla Commissione Cultura hanno protestato contro la decisione, difendendo Georgiev. È poi permanente il dissenso sull’Europa e sul ruolo del Governo di Ursula von der Leyen.

In questo contesto riprende fiato nel Pd la spinta a ricreare una nuova formazione di centro-sinistra, come la Margherita, su iniziativa dei riformisti; anche l’ex ministro Dario Franceschini, pur restando nel Pd, avrebbe dato l’ok all’operazione.

Nel destra-centro si differenzia ancora una volta la Lega, con la difesa – sulla medesima linea del M5S – del maestro Georgiev e, soprattutto, con l’aperta dichiarazione del vice-segretario Vannacci a favore di Putin (ed un richiamo al Duce!).

La Meloni, tuttavia, pare principalmente preoccupata, secondo una dichiarazione del ministro Foti, dalle difficili trattative tra l’Europa e gli Stati Uniti sui dazi (la scadenza è il primo agosto). Le notizie filtrate da Bruxelles parlano di pretese altissime da parte di Trump, con dazi al 15-20%, che sarebbero una mazzata per l’economia europea e italiana. In tal caso l’Unione Europea dovrebbe reagire con forza, ponendo il governo italiano nell’obbligo di scegliere tra la fedeltà europeista e l’amicizia politica con la Casa Bianca.

Sarebbe un terremoto per la politica italiana e aprirebbe la strada al dovere della solidarietà nazionale per salvare il Paese, secondo le ribadite dichiarazioni del Presidente della Repubblica.