Sulla Palestina c’è un grave ritardo del Governo italiano: per la Meloni, nonostante la tragedia di Gaza, “è prematuro” riconoscere lo Stato; ma lo hanno già fatto oltre cento Paesi, cui presto si assoceranno Francia e Gran Bretagna, dopo Spagna e Irlanda. A sua volta il cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha ricordato che questa scelta è stata già compiuta da decenni dalla Santa Sede, per cui “la soluzione è il riconoscimento dei due Stati (israeliano e palestinese) che vivono vicino l’uno all’altro in autonomia e sicurezza”.
Il Governo Netanyahu che nega questa soluzione sulla spinta della destra religiosa che punta alla “Grande Israele” e all’espulsione completa dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania, dimentica tuttavia la storia: i due Stati in Palestina sono previsti dall’ONU con la decisione del 1947 che fa nascere Israele; con gli accordi di Oslo del 1993, mediatore Clinton, il primo ministro israeliano Begin e il leader dell’Olp Arafat ratificano la scelta dell’ONU con un reciproco riconoscimento; successivamente avviene un passo indietro con i Governi Netanyahu e con la rottura tra l’Autorità Nazionale per la Palestina di Abu Mazen e l’ala estremista di Hamas. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: i massacri e la devastazione di Gaza. Israele, che afferma di controllare l’85% della Striscia, può pensare alla guerra come unica soluzione? E in Cisgiordania, affidata al moderato Abu Mazen, perché i coloni ebraici cacciano tutti, compresi i pochi cristiani rimasti?
La spinta internazionale è essenziale per fermare Netanyahu, prima che si realizzi quel genocidio temuto da Papa Francesco. Lo stesso Trump, pur sostenitore del governo israeliano, ha dovuto smentire Netanyahu sulla fame, sulla carestia a Gaza; perché non incalzarlo affinché cambi registro sulla politica medio-orientale? In questo contesto la Meloni deve uscire dalla prudenza e dall’amicizia politica con la Casa Bianca per ridare al nostro Paese un ruolo dignitoso nel Mediterraneo, per la pace, per i due Stati “subito”, per la fine della tragedia del popolo palestinese, contribuendo anche alla vera sconfitta politica di Hamas, a favore dell’ANP. Purtroppo la Meloni ha un freno interno, nel Governo, per la posizione pro-Netanyahu del vice-premier Salvini: ma l’Italia può isolarsi in Europa su un tema di civiltà e umanità così decisivo? Non bastano le immagini televisive per dare il senso della catastrofe umanitaria in corso?
È invece positiva la linea di politica estera sul conflitto russo-ucraino, con un aperto sostegno a Kiev contro l’aggressione moscovita; una guerra infausta – come ha ricordato Mattarella – che ha rotto in Europa un periodo di pace durato ottant’anni.
C’è poi, ma di tutt’altra natura, la “guerra dei dazi” USA-UE. Nel Vecchio Continente si sono scontrate due linee, quella morbida verso gli Stati Uniti patrocinata da Italia, Germania, Spagna…, e quella intransigente sostenuta dal francese Macron. La von del Leyen ha scelto la prima tesi, con un atteggiamento conciliante verso Trump e la firma di un accordo, definito “storico”, nel resort scozzese del presidente USA. Ma i risultati sono deludenti e l’Europa è spaccata: i dazi sono al 15% (il limite massimo era stato fissato al 10%), e molti punti sono ancora in dubbio, con ricadute pesanti per l’economia europea e italiana.
La linea “morbida” si è dimostrata perdente, come aveva previsto da tempo l’ex premier Draghi, che anzi aveva suggerito una trattativa veramente alla pari con la Casa Bianca. Una riflessione s’impone per le componenti “sovraniste” della nostra società, costrette ad accettare i diktat della Casa Bianca. L’onda MAGA che ora governa gli Stati Uniti pensa essenzialmente ai suoi interessi; non siamo più all’Alleanza Atlantica dei tempi di De Gasperi, con gli USA che finanziavano con il piano Marshall la ricostruzione dopo le macerie del nazifascismo; oggi i dollari, con l’accordo sui dazi, prendono una strada opposta, verso Washington.
Per la Meloni e il Governo l’amicizia politica con Trump non paga: anzi, s’impone una profonda riflessione, nell’interesse del Paese.