Le due guerre in Palestina e Ucraina, che Trump aveva promesso di risolvere in 24 ore dal suo insediamento, si stanno drammaticamente radicalizzando. Il governo Netanyahu, nonostante l’opposizione di milioni di israeliani, sta procedendo all’occupazione di Gaza-City, all’espulsione della popolazione, all’annessione di buona parte della Cisgiordania. Il governo Putin, rifiutando ogni appello alla tregua, sta colpendo le città dell’Ucraina con una violenza inusitata, Kiev compresa.
La tragedia di milioni di persone, nel cuore dell’Europa e nella terra di Gesù, pone drammatiche scelte ai governi dell’Europa e, in modo specifico, dell’Italia.
La premier Giorgia Meloni, amica-alleata di Trump, si è posta l’obiettivo di mediare tra Bruxelles e la Casa Bianca: senza risultati concreti, perché la politica di Trump (“Prima l’America”), rompe la solidarietà occidentale (dopo ottant’anni) e pone un precedente sovranista su scala mondiale, subito seguito da Putin (il grande impero russo) e Netanyahu (la grande Israele). Su Gaza e Cisgiordania la Casa Bianca condivide il no ai due Stati (palestinese e israeliano), anche con progetti affaristici sulla trasformazione di Gaza nella Costa Azzurra del Mediterraneo; sull’Ucraina, dopo aver riabilitato l’aggressore russo, ha rinunciato ad ogni sanzione per imporre la tregua.
Passando dalle parole ai fatti la Meloni, leader della Destra ma presidente del Consiglio, non può isolare l’Italia dalla gran parte dell’Europa che sta riconoscendo lo Stato palestinese; l’astensione all’ONU sulla mozione franco-britannica sarebbe un gesto alla Ponzio Pilato, soprattutto dopo la sconvolgente decisione di Trump di negare i visti d’ingresso all’ONU alla dirigenza “moderata” palestinese, guidata da Abu Mazen, l’anziano leader dell’Autorità Nazionale per la Palestina.
Analogamente le “frenate” in campo europeo dell’Italia contro ipotesi di sanzioni al governo Netanyahu appaiono incomprensibili, di fronte al disegno dichiarato di espulsione di due milioni di persone (parole fermissime contro questa tragedia sono state pronunciate dal cardinal Pizzaballa, che resterà a Gaza con la piccola comunità cristiana). Per il governo di Roma le condizioni per il riconoscimento “non sono ancora mature”; ma cosa deve ancora succedere in Terra Santa? In realtà occorre sfidare il veto trumpiano.
Ed anche sull’Ucraina, dove la linea pro-Kiev è chiara, emerge il nodo dei rapporti europei e italiani con Trump. Il viaggio della delegazione di Bruxelles alla Casa Bianca non ha prodotto risultati perché non ha contestato la riabilitazione politica di Putin compiuta dalla nuova amministrazione americana: come pensare di poter difendere gli Ucraini, bombardati giorno e notte, se l’aggressore è ricevuto con tutti gli onori (ed il “tappeto russo”)? Per la verità sull’Ucraina ci sono anche problemi nel “campo largo”: unito contro Netanyahu, diviso su Putin per la posizione “neutralista” dei Pentastellati.
Nella realtà ci sono molte (e giuste) manifestazioni per la Palestina, ed un quasi-silenzio sulle vittime quotidiane dei droni di Putin. Ma le stragi non sono tutte devastanti?
Sul piano europeo, di fronte alla crisi del modello occidentale prodotto dal “sovranismo” trumpiano, la soluzione non è la fuga in 27 governi nazionali, ma il rilancio dei valori universali di solidarietà, giustizia, pace, rispetto del diritto (non quello del più forte), multilateralismo (anziché individualismo). Le tre componenti politiche che determinano il Parlamento di Strasburgo (Popolari, Socialisti, Liberali) hanno una grande responsabilità storica; riscrivere la carta dell’autonomia europea mentre nuovi blocchi si formano nel Sud del mondo (come si è visto in questi giorni in Cina); altre forze politiche possono partecipare, dai Verdi agli stessi Conservatori della Meloni, purché sappiano recidere i legami con i profeti della supremazia americana. Le due cittadinanze, europea e statunitense, sono oggi impossibili perché il solidarismo ed il personalismo della miglior tradizione laica e cattolica non si sposano con la teoria del più forte, del più ricco. Proporre resort di lusso a Gaza mentre si muore sotto le bombe, promettere cinquemila dollari agli abitanti che lasciano la Palestina, è una grave offesa, una “bestemmia” nella terra di Cristo. L’eroico padre Romanelli, che resta, è un esempio per tutti.