Nell’arco di appena due mesi andranno alle urne, in ordine sparso, ben sette regioni italiane: Valle d’Aosta, Marche, Toscana, Calabria, Campania, Puglia, Veneto.
La campagna elettorale, sinora, si è giocata su due versanti: le candidature delle personalità regionali, la sfida bipolare Meloni-Schlein su chi “conquista” il maggior numero di Governatori. Praticamente assente il dibattito programmatico sulle diverse realtà, sul futuro delle Regioni dopo il fallimento dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli, sui rapporti Stato-Regioni su materie delicate sul piano costituzionale ed etico come ad esempio l’eutanasia. Per la consultazione popolare si tratta di una “falsa partenza”, che non contrasta il crescente astensionismo (valutato oltre il 50%).
Nel destra-centro ha dominato la scena la vicenda veneta, con il caso Zaia, il Governatore leghista, incandidabile dopo tre legislature ma sempre alla ricerca di un ruolo determinante. Situazione analoga in Campania nel centro-sinistra con il Governatore De Luca: per sostenere la candidatura a Presidente del grillino Fico, ha preteso ed ottenuto dalla Schlein la nomina del figlio, deputato, a segretario regionale della Campania, superando ogni regola democratica del partito. In Puglia il Pd Decaro si è candidato alla guida della Regione dopo una vivace battaglia contro la presenza nei banchi del Consiglio degli ex presidenti Emiliano e Vendola.
Sui media, accanto alla critica ai “cacicchi” (i politici che non accettano mai di “scendere dal cavallo”), prevale l’attenzione sulla nuova sfida Meloni-Schlein, anche se le elezioni politiche sono ancora lontane, con il rischio di banalizzare e strumentalizzare ogni confronto. I poteri delle Regioni sono grandi, a comunicare dalla sanità e dai servizi sociali: possono essere sacrificati dal prevalere di esigenze nazionali? Questa lettura “strabica” del bipolarismo rischia di ridurre la rilevanza costituzionale del voto, in contrasto con le esigenze, spesso richiamate dal Presidente Mattarella, di una forte partecipazione popolare alla vita delle istituzioni democratiche.
La ripresa politica autunnale segnala altre due questioni rilevanti: la proposta del Governo di cambiare la legge elettorale; il dibattito interno ai partiti, in particolare la Lega e il Pd. Nel timone di un “pareggio” negli attuali collegi uninominali, soprattutto al Sud, la Meloni propone un nuovo sistema proporzionale-maggioritario: liste di partito, alleate, per Camera e Senato, con ripartizione proporzionale dei seggi e con un premio “di governabilità” per la prima formazione; diritto di tribuna, con accesso alle Camere, per le liste fuori dai Poli che raggiungano il 3% (questa novità verrebbe incontro a Calenda, uscito dal “campo largo”).
L’opposizione promette battaglia perché la proposta annulla il “lodo Franceschini” sulla possibile vittoria del centro-sinistra nei collegi uninominali.
Nei partiti è vivace lo scontro nella Lega tra i difensori del Nord di Umberto Bossi (i Governatori di Lombardia e Friuli, Fontana e Fedriga) e il nuovo vice-segretario Vannacci, legato all’ultra-destra europea, nostalgico di Mussolini, sostenitore della Russia di Putin. Salvini lo difende, anche se la sua linea di politica estera su Ucraina e Gaza smentisce il Governo Meloni.
In casa dem hanno colpito le prese di posizione di tre autorevoli esponenti dell’area cattolico-democratica come Delrio, Bindi e il professor Ruffini: tutti segnalano la scarsa considerazione della segreteria per l’area cattolica e temono un “regalo indiretto” alla Meloni. Dopo le regionali Ruffini darà vita alla sua annunciata operazione politica: sarà una corrente dentro il Pd o una nuova formazione cattolica e laica, sul modello prodiano dell’Ulivo? Saranno decisive le scelte della Schlein, che sinora ha rinviato il dibattito politico in direzione, e lo sviluppo dei rapporti con i Pentastellati, soprattutto sull’Ucraina. Per il Pd, che ha eletto Mattarella al Quirinale, il neutralismo grillino pro-Putin è una questione politica di prima grandezza, perdurando l’attacco russo a Kiev.