Immagina tratta da Freepik

All’aprirsi di un nuovo anno scolastico si aprono anche nuove riflessioni su figli e studenti e si possono fare bilanci su spese da prevedere e da sostenere per coniugare vita familiare, scolastica e lavorativa.

Bisogna comprendere come e se il programma nazionale “Piano Estate”, promosso dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, abbia funzionato e soprattutto se saranno messe in campo le misure che, a fronte di una società che cambia, si richiedono alle istituzioni per essere flessibili davanti, per esempio alle festività e vacanze scolastiche o all’orario di apertura e di chiusura della scuola.
Ogni cambiamento porta con sé una serie di considerazioni, sullo stato delle infrastrutture scolastiche e sull’annoso dilemma tra la scuola come opportunità o come parcheggio, sul ruolo degli insegnanti o chi e come traghetta gli studenti, durante i periodi di chiusura, all’interno degli istituti che si mettono a disposizione per fare attività. I finanziamenti appaiono sempre limitati e i costi per le famiglie sempre esosi. Le politiche a sostegno delle famiglie si muovono a singhiozzo e non garantiscono la tranquillità che ognuna desidererebbe avere.

Se l’istituzione scolastica e quella familiare si confrontano, a volte anche aspramente su questi temi, non dobbiamo dimenticare i bisogni dei bambini, che hanno diritto al riposo, al gioco, ad esperienze possibilmente interessanti di incontro tra pari o con adulti di riferimento di qualità, e dalle quali trarre un vantaggio in termini di apprendimento delle abilità trasversali utili alla vita. Non ci occorre fare riferimento ai dati sulle patologie psicologiche e mentali che affliggono i bambini, ci basta osservarli nella quotidianità, suddivisi tra quelli iper responsabili, adultizzati, incapaci di affidarsi e di chiedere aiuto perché consapevoli che gli adulti di riferimento sono fragili o impossibilitati a dedicare loro del tempo, o bambini che necessitano, fuori dalle linee di sviluppo attese, del costante aiuto di un adulto perché incapaci di prendersi cura di sé stessi, che non hanno acquisito le autonomie minime personali, non abituati ad esprimere un proprio pensiero. I luoghi e le persone deputate all’accoglienza dei bambini andrebbero rivisti proprio su questi elementi e valutare l’impatto che le proposte hanno sul loro benessere.