Le piazze italiane sono state gremite nei giorni scorsi da centinaia di migliaia di persone in solidarietà con le popolazioni martoriate di Gaza, contro la guerra di Netanyahu, per una pace giusta e duratura con due Stati (ebraico e palestinese), per il rispetto dei volontari della Flotilla. Contemporaneamente, le elezioni regionali in Calabria hanno confermato la fuga dei cittadini dalle urne, con una partecipazione minoritaria al voto: il 43% degli elettori, un record di astensionismo.

Alcuni media (e diverse forze politiche) hanno tentato un parallelo tra i cortei e il voto: impossibile, per la diversità delle motivazioni. La spinta popolare per la pace è cresciuta in modo trasversale nella coscienza dei cittadini, per la drammaticità della crisi mondiale, per la sofferenza di milioni di persone, per gli appelli laici e cattolici alla solidarietà (compresi quelli, molto puntuali, dei Papi Francesco prima e Leone XIV ora).

Nella politica italiana invece nulla è cambiato: come ha scritto Alzo Cazzullo, autorevole editorialista del “Corriere”, lo scontro perenne Meloni-Schlein non ha smosso la massa degli astensionisti, anzi. Alle urne sono andati gli elettori “radicalizzati”, con una differenza: la premier ha tenuto unito il destra-centro, mentre il “campo largo” si è sfarinato, giorno dopo giorno. In Calabria il Governatore rieletto Roberto Occhiuto (Forza Italia) ha superato di oltre 15 punti il candidato del centro-sinistra, Pasquale Tridico (designato dal leader pentastellato Giuseppe Conte), già ideatore del reddito di cittadinanza con il governo Conte-Salvini-Di Maio.

Non sono un mistero le critiche (ultima, nei giorni del voto, l’intervista polemica del senattore Zanda, vicino a Prodi) tivolte dalla componente riformista del Pd alla Schlein per l’alleanza “stretta” con i Pentastellati. In precedenza, sul voto negativo delle Marche, l’Istituto Cattaneo aveva documentato la fuga del sostegno al candidato-presidente Ricci (Dem) di elettori di sinistra di AVS e M5S e di area moderata-centrista.

Emblematica, nella domenica elettorale, la scelta di Renzi al convegno di “Italia viva”: l’ex premier, allontanandosi dalla Schlein, ha “profetizzato” una sicura sconfitta del centro-sinistra alle politiche senza una nuova gamba centrista, da lui ribattezzata “Casa riformista”.

Allargando il tema l’ex ministro Delrio, leader dell’area catto-dem, aveva chiesto una nuova linea politica alla segreteria, sostituendo la scelta sinistra-sinistra con una nuova intesa tra sinistra e centro, come fece Prodi nel 1996 e nel 2006, avendo un occhio di riguardo alla maggioranza astensionista di elettori (tre cui, come ha scritto il “Corriere”, il 25% di cattolici praticanti). Non un’ammucchiata di forze politiche per vincere (proposta Franceschini), ma un’intesa, una mediazione, sui grandi temi della società: la pace (a Gaza ma anche a Kiev), uno sviluppo economico equilibrato e giusto, una politica dei valori non dettata dall’agenda dei radicali, il rilancio delle istituzioni democratiche, il sostegno al magistero repubblicano di Sergio Mattarella

Per la verità il fossato tra i due Pd – quello della Schlein eletta nei gazebo, e l’altro indicato dagli iscritti –, non si è mai ridotto in questi tre anni. Una sostanziale assenza di dialogo interno sulle scelte da compiere. La democrazia vive sul confronto civile maggioranza-opposizione: in questo senso la crisi del “campo largo” non è un buon segno per le istituzioni.

Il Governo, che esce rafforzato dal voto regionale, deve scegliere tra due anni di campagna elettorale o un periodo di priorità alle esigenze del Paese. Sulle vicende di Gaza abbiamo visto due versioni diverse: la disponibilità al dialogo dei ministri Crosetto e Tajani, l’intransigenza della Meloni e di Salvini, che hanno “ridicolizzato” un fiume pacifico di italiani (ben diverso il giudizio del Presidente Mattarella). Ed anche sul prossimo referendum sulla giustizia, sarebbe molto negativo per le istituzioni uno scontro frontale tra poteri dello Stato.

La crisi dell’opposizione non può significare mano libera al Governo, peraltro eletto – grazie all’astensione – dal 25% dei 50 milioni di elettori. La moderazione diviene un obbligo etico, non solo costituzionale.