Leggendo un libro mi sono imbattuto in un nome che ha suscitato prima curiosità, poi, dopo un’attenta ricerca, un grande fascino.
Giulio Salvadori, formatosi negli ambienti del positivismo e del classicismo postunitario, cercava nella poesia e nella bellezza la nuova religione dell’uomo moderno. Allievo di Carducci, visse un profondo disagio interiore: dietro la compostezza dei suoi versi classici si celava la ricerca di un significato.
Nei “Primi poemetti” la parola è ancora dominata dalla affermazione degli ideali umanistici: “Sii forte, o cuore, e canta / la gloria degli anni tuoi”. L’autore avverte una tensione non risolta, un bisogno di assoluto che il culto della bellezza non riesce più a saziare. La sua crisi si fa profonda.
Frequenta Pascoli e D’Annunzio. Ma le inquietudini simboliste e le fughe estetiche non lo soddisfano. C’è un’altra parola in lui, una voce profonda. “Non trovo più pace nelle parole che un tempo mi bastavano. La poesia, senza Dio, è un giardino senz’acqua”. La malattia, la morte di persone care, la consapevolezza della propria fragilità diventano un’apertura all’infinito. “Sento che l’uomo non è fatto per bastare a sé stesso. Tutto quello che ho amato si consuma, e il cuore rimane affamato di ciò che non muore”.
Nel 1895, dopo un lungo travaglio, si converte al cattolicesimo, entrando nel Terz’Ordine francescano e dedicando la sua vita all’insegnamento e alla testimonianza cristiana. Scopre una nuova comprensione dell’uomo e del suo compito: “Dio non toglie, ma compie; non spegne, ma trasfigura”. La poesia diventa preghiera, contemplazione e confessione: “O Signore, nel silenzio m’insegni / che l’anima mia non basta a sé stessa”.
Salvadori insegnò Letteratura Italiana alla Sapienza di Roma e alla Cattolica di Milano. Influenzò profondamente i suoi allievi: tra gli altri Giuseppe Ungaretti, Vincenzo Cardarelli, il futuro Cardinale Giovanni Colombo e Amintore Fanfani. Negli anni dell’insegnamento universitario e dell’amicizia con Giovanni Battista Montini, Salvadori divenne testimone di una fede pensata e vissuta nel quotidiano: “Io non cerco più l’oro del canto: basta che dica la tua pace”.
Alla sua morte nel 1928, ha lasciato di sè l’immagine di un uomo che quando ha incontrato Cristo e ha trovato in Dio la Bellezza cercata, ha trasformato la poesia in preghiera e il dolore in grazia.


