C’è una storia che merita di essere raccontata. È la storia di un amico che conosco bene. Un anno intero passato a prepararsi per un concorso che fa tremare i polsi solo a pronunciarlo. Un anno di studio matto e disciplinato, dieci ore al giorno, sveglia alle 5.30, colazione silenziosa e poi via, fino alla sera. Fino alla Compieta recitata insieme, quando finalmente chiudeva i libri e alzava lo sguardo più in alto.
Vederlo era una lezione di serietà. A molti sembrava un robot, ma non era un supereroe. Aveva, semmai, un vantaggio soltanto: sapeva dove voleva arrivare. E quella chiarezza gli bruciava dentro come una fiamma, calma ma inestinguibile. Mi ricordo la sua cultura immensa, la facilità con cui collegava le cose più lontane.
E i suoi stratagemmi di memoria: una volta mi proibì di togliere dopo Natale il presepe che avevamo allestito in una mensola in camera. “Lì dentro – mi spiegò – ho fissato un’informazione importante: se lo sposti la perdo”. Non l’ho ancora tolto adesso, in pigrizia non mi batte nessuno. Però a riguardarlo mi vengono in mente bei ricordi e quella lezione di studio che sinceramente non ho mai applicato ma che mi convinco di poter forse eguagliare un giorno, almeno nel metodo.
A venticinque anni il suo nome ora viaggia accanto a uno dei titoli più prestigiosi che esistano. Di quelli che restano misteriosi ai più, che ispirano film, che fanno sognare. Eppure io lo ricordo lì, in quella metà stanza ordinata – perché l’altra metà, la mia, era ed è una giungla di panni, cavi e ammennicoli più vari – con un libro aperto e una giaculatoria sulle labbra. Perché, nel turbine dello studio, non ha mai messo da parte Dio. Anzi, ne faceva il suo punto di partenza.
Ogni mattina leggeva un passo del Vangelo da un volume di Benedetto XVI che mi avevano regalato e che tenevamo sulla mensola comune. Lo apriva piano, come chi non vuole disturbare il silenzio sacro dell’alba, e poi lo richiudeva con la stessa delicatezza. La sera, dopo Compieta, spuntava sempre quel libricino di preghiere a cui teneva come a una reliquia.
Lui mi ha insegnato che i “no” possono diventare un grande “sì”, il sì dei propri sogni. Che si può scrivere la propria vita senza cancellare Dio dalle righe. E oggi, che la sua vita l’ha scritta davvero, con inchiostro di sacrificio e di fede, sono certo che, nel momento in cui ha visto coronarsi i suoi sogni, l’inizio di una prestigiosissima carriera, abbia alzato gli occhi al cielo e detto grazie. A Lui, il Titolare del celestiale piano di sopra.


