Nel Partito Democratico Romano Prodi è passato dalle parole ai fatti politici, lanciando la sfida alla Schlein con un’impegnativa intervista al “Corriere della Sera”. No “a un radicalismo che spaventa gli elettori”, sì “al riformismo coraggioso ma concreto che punti al cambiamento”. Per governare – aggiunge l’ex premier e fondatore dell’Ulivo – “serve il consenso della maggioranza della popolazione”.

In altri termini Prodi sconfessa la linea radicale, minoritaria, dell’attuale segreteria, schiacciata sulle tesi dei Pentastellati e di AVS (Alleanza Verdi-Sinistra), non in grado di costituire un’alternativa credibile all’attuale governo Meloni, nonostante i suoi limiti.
Contestualmente l’ex presidente UE ha elogiato l’iniziativa del professor Ernesto Maria Ruffini (Movimento Più Uno) di rilanciare lo spirito originario dell’Ulivo, ovvero l’alleanza tra cattolici democratici-post-comunisti-laico-ambientalisti, mentre con la Schlein – come ha scritto Flavia Perina su La Stampa – prevale il filone movimentista, con un’alleanza privilegiata con la Cgil di Landini.

Le critiche di Prodi hanno ridato vigore ai riformisti del Pd, in particolare alle componenti dei Popolari e dei post-comunisti (Delrio, Guerini, Picierno, Fassino) che daranno vita ad una nuova iniziativa (a fine mese, a Pisa) con l’obiettivo di ritornare alle origini dei Democratici, nati nel 2007 dall’incontro tra Ds e Margherita.

Contemporaneamente tre componenti di maggioranza della segreteria Schlein, facenti capo all’ex ministro dc Dario Franceschini, al leader ligure Andrea Orlando (ex Ds) e al fondatore di Articolo Uno Roberto Speranza (già ministro della Sanità), si riuniranno per “correggere” la linea del partito, mettendo fine alla guerra interna nel centro-sinistra tra Conte e la Schlein per la prossima candidatura a Palazzo Chigi. Si punta ad un nuovo nome, di tendenza riformista. Il più “gettonato” è l’ex premier Paolo Gentiloni, ma non mancano altre candidature di rilievo, dalla neo-sindaca di Genova Silvia Salis, allo stesso Ruffini.

La scossa di Prodi al Pd avviene in una fase difficile per il Governo Meloni, con l’economia in affanno (dati UE), ma soprattutto per il crescere dei contrasti interni: emblematica la presentazione di 1.600 emendamenti al bilancio statale 2026 varato dal Consiglio dei ministri.

La difficoltà maggiore per Giorgia Meloni è venuta ancora una volta dalla Lega, sul terreno esplosivo della politica estera. Il vice-premier Matteo Salvini ha chiesto il blocco degli aiuti a Kiev, con il pretesto dei gravi casi di corruzione emersi nel governo ucraino; ma il leader leghista ha dimenticato che oggi c’è una guerra atroce nel cuore dell’Europa perché Putin (da sempre vicino alla Lega) ha rifiutato la tregua proposta da Trump, mentre lo stesso Zar ha detto sì all’intesa su Gaza (con il diritto di veto all’ONU poteva bloccarla). La pace in Ucraina deve essere “giusta e duratura” (parole di Papa Leone XIV) e non può consistere nella resa di Kiev.

Sull’Ucraina e su Gaza ha espresso una posizione molto ferma il Presidente Sergio Mattarella, condannando le stragi di civili (donne e bambini innanzitutto), ribadendo la solidarietà a Kiev aggredita dai russi; indirettamente una sconfessione di Salvini.

La fermezza del Presidente non è piaciuta alla Meloni, che in modo inusitato ha fatto attaccare il Quirinale dal suo capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, usando come pretesto dichiarazioni attribuite nei giorni scorsi ad un consigliere di Mattarella. Ma è più probabile che la Meloni sia preoccupata per il rinnovato attivismo politico di Prodi e per la sua proposta di “cambio di cavallo” del centro-sinistra per la candidatura a Palazzo Chigi: un riformista autorevole anziché un radicale. La recente storia politica, peraltro, dà ragione al Professore: nel ’94 l’ex leader comunista Occhetto perse contro Berlusconi, nel ’96 Prodi, pupillo di De Mita, vinse e nel 2006 venne rieletto.

Resta il rammarico per la discutibile scelta della Meloni di scontrarsi apertamente con il Quirinale, guidato dall’uomo politico più apprezzato dagli italiani per il suo rigore morale ed il suo indiscusso prestigio istituzionale, anche all’estero. È vero che domenica prossima si vota in tre regioni, ma Palazzo Chigi non può essere sempre in campagna elettorale.