I rapporti tra il Pd e il Movimento fondato da Beppe Grillo sono stati difficili sin dalla nascita dei Pentastellati: clamoroso il no del M5S (2013) all’ipotesi di un governo di centro-sinistra guidato dal segretario dem Pierluigi Bersani. Ancora più dirompente l’alleanza dei grillini con la Lega (2018) e la formazione del Governo Conte-Salvini-Di Maio. Oggi la musica non cambia: il leader pentastellato Conte non accetta l’asse bipolare Meloni-Schlein e si candida anch’egli per Palazzo Chigi mentre la corrente di maggioranza del Pd, riunita a Montepulciano, rilancia l’ipotesi Schlein senza subordinate.

Questa discordia nel “campo largo” – come conferma un sondaggio SWG La7 – è la vera “forza” del governo Meloni, peraltro “debole” nei giudizi popolari. Gli elettori di centro-sinistra chiedono le primarie per il candidato a Palazzo Chigi; ma i vertici dem e grillini, entrambi su posizioni radicali, sono pronti a fare un passo indietro?

La questione non riguarda solo le persone, ma ancor più i programmi. Sulla politica estera il Pd sta con Bruxelles, il M5S contro; i Dem sono con Kiev, Conte ha approvato il primo piano Trump sull’Ucraina, filo-Putin (l’ex sindaca di Torino, Appendino, ha chiesto apertamente la cessione dei territori occupati da Mosca); sull’economia la Schlein ha il filo diretto con la Cgil di Landini, gli ex grillini puntano sul lavoro autonomo…

Ci sono poi le questioni etiche, con una forte spinta radicale della segreteria dem. Ultimo caso quello di Genova, dove la sindaca Silvia Salis (vicina a Renzi) ha deciso di rinunciare al tradizionale Presepe in Municipio, perché “non inclusivo”. Mentre si celebra l’ottavo centenario del Poverello d’Assisi, la sua creatura, inneggiante alla pace e alla fraternità, diviene pietra d’inciampo; intanto Genova va a ferro e fuoco per la drammatica crisi di lavoro all’Ilva. Si oscura San Francesco, nonostante sia stato il precursore illuminato del dialogo con l’Islam. La fede rinchiusa in sacrestia, predicata dall’illuminismo radicale, non è un risultato progressista per una democrazia basata su salde radici popolari.

In concreto il “campo largo” deve chiarire leader e programmi, perché l’elettore (tentato dall’astensionismo) non concede deleghe in bianco.

Nel destra-centro il punto più dolente è la politica estera, soprattutto per le responsabilità di governo. Proprio in questi giorni, con il coraggioso viaggio in Medio-Oriente, Papa Leone ha chiesto ad Israele di fare passi avanti nel riconoscimento della politica dei “due popoli, due Stati”, unica via per giungere alla pace nella martoriata terra di Cristo. E l’Italia cosa aspetta a concedere il riconoscimento ad Abu Mazen? L’amicizia politica della Meloni con Trump non può ridurci in Europa ad un ruolo da Cenerentola, quasi come Orban. Sulla stessa crisi russo-ucraina le mosse contraddittorie della Casa Bianca non possono essere subite passivamente, se veramente si vuole sorreggere Kiev, sempre sottoposta a terribili bombardamenti, con strage di bambini.
Sul piano economico-sociale la stabilità del bilancio statale non è misura sufficiente; occorrono scelte di rilancio dell’economia, stagnante, e di lotta effettiva all’inflazione che taglia salari e pensioni.

La Meloni, anche per i continui contrasti nella coalizione, è tentata di seguire la strada del premier Renzi nel 2016, con una riforma costituzionale che rafforzi il suo ruolo, a scapito del Quirinale e del Parlamento. Tutti i poteri ad una persona: a Renzi, segretario dem e presidente del Consiglio, arrivò dalle urne una sonora sconfitta, anche se (appena 2 anni prima) aveva ottenuto alle Europee il 41% dei voti. L’opinione pubblica chiedeva una nuova politica, un nuovo programma economico-sociale, non una scorciatoia personalistica, sul modello americano. Ed oggi Renzi è al 2%, nonostante i passaggi dei Popolari ai Socialisti, dai Liberali di Macron alla Schlein.

Nel previsto referendum istituzionale sul premierato elettivo la Meloni corre rischi analoghi, anche per il prestigio indiscusso dell’Inquilino del Quirinale.

Meglio sarebbe, per il Governo e l’opposizione, dedicare il 2026 ai veri problemi del Paese, risollevando la qualità del confronto politico, pensando ai milioni e milioni di italiani che si sono allontanati dalle urne. Non una democrazia di pochi, ma un’assise pienamente di popolo.