La settimana scorsa ho realizzato per questo giornale un’intervista per un momento di formazione natalizia, al professor Diego Contreras, docente di Analisi dell’Informazione all’Università Santa Croce di Roma, il quale ha offerto ancora una volta quello sguardo limpido che caratterizza il suo insegnamento: rigoroso, concreto, privo di inutili sovrastrutture.

La sua competenza nasce da un lavoro serio, come quello dedicato agli appunti personali di Joaquín Navarro-Valls, portavoce di Papa Wojtyla, poi raccolti nel libro I miei anni con Giovanni Paolo II. Un testo che ho letto più volte e che continua a restituirmi il valore strategico e insieme umano della comunicazione istituzionale: la vicinanza a chi guida, la capacità di risolvere problemi, la cura della pianificazione.

Dal dialogo con Contreras emergono molti spunti, ma due mi sembrano particolarmente significativi per la vita del nostro settimanale. Il primo è il ringraziamento spontaneo che il professore ha rivolto ai collaboratori: “voglio congratularmi con voi perché voi fate un settimanale, un settimanale è una formula molto complicata… però tirare fuori ogni numero con un contenuto rilevante è un lavoro straordinario, anche professionale, giornalistico… è la formula forse più difficile, pertanto complimenti perché è una sfida, ogni numero è una sfida”.

Parole che debbono farci riflettere e far riflettere il nostro lettore. Troppo spesso diamo per scontato che il giornale “ci sia”: pronto, ben impaginato, scritto con cura. Ci si lamenta quando non parla di quello che vorremmo, se costa troppo, se tarda ad arrivare per posta… Un settimanale non ha confronto in molte realtà italiane: è un equilibrio raro tra servizio e professionalità, tra evangelizzazione e notizia.

Il secondo spunto è l’invito ad avere occhi. Contreras lo rivolge principalmente ai giornalisti, ai collaboratori e a quanti scrivono: ma io mi sento di estenderlo ai lettori. Avere occhi significa esercitare il giudizio critico, non ingoiare tutto, farsi domande, confrontare e filtrare le informazioni. È un lavoro silenzioso, che costruisce persone più libere e, di riflesso, giornalisti più responsabili. Perché non c’è nulla di peggiore, e purtroppo accade qua e là, di un giornalista che non ha stima del proprio pubblico. Se il nostro giornale, per seguire ancora il pensiero del professor Contreras, riuscirà anche solo in minima parte a formare questi occhi, allora il nostro lavoro non sarà stato vano.