L’Anno Santo, dal 24 dicembre 2024 al 6 gennaio 2026, ci ha abituati a scrivere dei tanti pellegrinaggi che dal nostro territorio sono partiti verso Roma; racconti e foto ci ricordano celebrazioni, visite, preghiere, incontri, udienze e messe papali, porte sante… I grandi media hanno mostrato le folle mondiali che hanno “saturato” Roma e il Vaticano. Domenica sarà il Giubileo dei carcerati.

Pare già di sentire alcune domande: ma li lasceranno uscire? Altrimenti sarà tutto vuoto. Come faranno a sorvegliarli? Tutto sarà presidiato al millimetro? E ci sarà chi tenterà di approfittarne? Il Giubileo dei carcerati è un appuntamento “immaginato” da Papa Francesco per portare nel cuore della Chiesa e del dibattito pubblico un mondo che, più di altri, resta ai margini dello sguardo collettivo.

È un Giubileo che non nasce per assolvere, né per assolversi, ma per vedere, e far vedere. L’organizzazione è del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, con i cappellani carcerari, con le componenti dell’Amministrazione e della Polizia penitenziaria.

Non tutti i detenuti ci andranno, solo quelli con permessi speciali. A noi tuttavia questo aspetto logistico-organizzativo poco interessa. Ci interessa invece “partecipare” a quella giornata, pensata per restituire dignità a chi vive dietro le sbarre e che ci invita a non dimenticare che nelle carceri abitano persone e non solo colpe.

Il Giubileo non è amnistia, non è indulto, non è pacificazione di facciata. È un gesto simbolico potente verso i detenuti e la società che sta fuori e spesso ignora, rimuove, o osserva con diffidenza. Quando la discussione sulle carceri riemerge dopo una protesta, un suicidio o una statistica allarmante, il Giubileo prova a ribaltare la prospettiva. Ricorda che un sistema penitenziario non è solo uno spazio per scontare una pena, ma anche un laboratorio fragile di convivenza forzata, un luogo dove lo Stato mostra, nel bene e nel male, la sua capacità di educare, proteggere, reinserire.

Il Giubileo dei detenuti non risolve le questioni strutturali del sistema, ma può essere un’occasione in cui il Paese è chiamato a varcare la soglia dell’indifferenza e a guardare dentro, non per assolvere, non per condannare ancora, ma per capire. Se servirà a ricordarci che la giustizia non è vendetta, che la pena non è degradazione, che la sicurezza nasce anche dal recupero, allora questo Giubileo avrà fatto centro. Non tutti saranno d’accordo, ma va bene anche così.