Sabato scorso sono andato a Novara in treno con la mia storica collaboratrice (o meglio, badante intellettuale). Volevamo visitare la Bicocca, quartiere periferico della città e vedere la piramide ossario della battaglia di Novara del 23 marzo 1849. Mi sono messo in testa questo fatto dalla conferenza di Villavernia di qualche tempo fa. Si, perché oltre alla sconfitta vi caddero due generali: l’eporediese Ettore Perrone di San Martino (ricordato qui da noi con un monumento) e il marchese Luigi Passalaqua, che a Villalvernia aveva il castello di famiglia.

Dunque, giunti sul posto cerchiamo l’ATL: non trovandola, ripieghiamo sulla strategia ottimistica di “chiedere informazioni ai locali” (anche perché con una donna al fianco è più agevole). C’è un’edicola, dove chiediamo informazioni sulla Bicocca al titolare, ma quello ci guarda strano: “È lontana, in periferia”, e che lui sappia c’è solo il carcere e nessun ossario. Ci affidiamo al navigatore del cellulare. Il barista da cui prendiamo un caffè trasecola: “Ma davvero volete andare fin laggiù (2 km e 400 metri sul navigatore, ndr) a piedi? Andate piuttosto qui dietro che c’è il Quadriportico, il Broletto…”. “Noi vogliamo andare all’ossario”, insistiamo. Quello si riprende, cerca di fare il brillante e aggiunge: “Certo che se fossimo in Francia, tutte queste cose sarebbero più valorizzate…”.

Ce ne andiamo. Il centro di Novara è bellissimo e lo attraversiamo tutto: Teatro Coccia, castello Visconteo, Palazzo Bellini (che appartiene oggi ad una banca e che, leggiamo sull’epigrafe marmorea, fu occupato da Napoleone Bonaparte prima della battaglia di Marengo, fu adoperato da re Carlo Alberto disperato per abdicare dopo la “Fatal Novara” e pure da Napoleone III alleato del Piemonte nel 1859). Ci avviciniamo al portone, sembra socchiuso, ma ne esce subito un signore impettito che è chiaramente il custode. Stiamo per chiedergli di… e vedo che porta un cappello particolare: un “feldmütze” austriaco tipo Grande Guerra. Mi blocco. Lasciamo perdere, afferro per un braccio la mia badante e la porto via.

Poco dopo ci siamo persi in un giardino pubblico. Incrociamo una coppia di una certa età, elegantissimi e chiediamo indicazioni per l’ossario. Gli avessimo chiesto 50 euro era la stessa cosa. Lei si inalbera dicendo che è lontano, brutto, si ricorda di quando alle elementari la obbligarono con tutta la classe a camminare fin laggiù, a quella piramide in periferia. Allibiti da tanto livore, ci giustifichiamo dietro ad una ricerca storica.

Finalmente, in mezzo a una selva di condomini anni ’70, raggiungiamo la piramide, che conserva ancora una certa aurea di dignitosità. La porta è sprangata – giustamente – e dal vetro sporco vediamo poco. Infilo l’obbiettivo della macchina fotografica e sullo schermino mi appare un mondo. Ci sono tutti e due! Il Perrone e il Villalvernia in bassorilievo, in cima a dei cannoni in fascio con i nomi dei caduti. Poco dietro, due vetrine con centinaia di ossa umane. Piemontesi e Austriaci. Deve essere un bell’ossario, colorato, malgrado il grigio del contesto.

Nel percorso inverso ci fermiamo alla chiesa della Bicocca. C’è una palla di cannone conficcata nel muro e il pensiero va a San Nicola di Ivrea. C’è anche un libro per scriverci su i pensieri dei visitatori: leggo, in calligrafia molto incisa nel foglio: “Una prece per il grande esercito Austro-Ungarico, se l’Italia fosse degli Austriaci ci staremmo molto bene tutti! Perché i governatori Austriaci sono onesti e non ladri come gli italiani!!! Maledetti dal Signore”. Il messaggio successivo è in grafia da scuola elementare: “Elena B… e nonna, ciao Gesù!”. La chiesa della Bicocca di Novara ci sembra il tempio più bello: un pannello la fa vedere gremita di feriti durante la battaglia.

Torniamo a Ivrea in treno che è buio e passiamo davanti al monumento di Ettore Perrone scolpito da Gabriele Ambrosio di Torino e inaugurato a Ivrea nel 1867. Un anno dopo le sconfitte della III Guerra d’Indipendenza a cui l’Ambrosio stesso aveva partecipato. Forse non ho capito niente del tempo in cui mi trovo a vivere. Forse non organizzerò un bel niente per il 23 marzo 2019, il 170° anniversario della sconfitta piemontese a Novara. O forse no.

Fabrizio Dassano