“Sono 250 le IVG (interruzione volontaria della gravidanza) praticate ogni anno nell’ambito della Asl TO4 a fronte dei 330 colloqui che avvengono nei consultori, prima che la donna approdi a una decisione definitiva”. Ci aiuta a guardare i dati relativi all’applicazione della legge 194 – quella che 40 anni fa ha legalizzato l’aborto – il dottor Fabrizio Bogliatto, direttore della Struttura Semplice Dipartimentale dei Consultori della AslTO4.
Nella nostra Asl gli ospedali di riferimento, sono quelli di Ciriè, Chivasso e Ivrea: Bogliatto riferisce che nel primo non si praticano aborti perché tutti i medici sono obiettori di coscienza, mentre negli altri due ospedali la percentuale tra favorevoli e obiettori è circa del 50%. Il 60% delle donne che dopo il colloquio scelgono di abortire hanno un’età compresa tra i 28 e i 35 anni, il 30% supera i 35 anni e il restante 10% ha meno di 25 anni. Per il 60% si tratta di donne di nazionalità non italiana (mentre, ovviamente, il restante 40% sono donne italiane).
L’esperienza fa dire al dottor Bogliatto che le donne non si avvicinano con leggerezza all’aborto e che i colloqui preliminari, senza formulare giudizi di nessun genere, invitano la donna a soprassedere e ricordano che questa pratica non è un metodo anticoncezionale (“Meno che in passato, ma capita talvolta che sia ancora considerato come tale”). I colloqui al consultorio sono comunque tesi a evitare l’aborto e a considerarlo l’ultima spiaggia quando altre possibili strade e soluzioni non sono state giudicate sostenibili dalle donne che ne fanno richiesta.
Già, perché l’uomo è perlopiù assente in questa fase, che troppo sovente grava sulle spalle della sola donna (o della donna lasciata sola). Magari c’è un’amica ad accompagnarla, una parente più o meno stretta, ma è chiaro che non c’è una scelta di coppia – e sovente la coppia proprio non c’è -, facendo sì che la scelta resti forzatamente limitata alla sfera femminile con tutto ciò che ne consegue a livello umano, psicologico, sociale, morale. Per questo si fa avanti l’aborto farmacologico che, sempre secondo il dottor Bogliatto, “sarebbe accettato meglio, perché fatto in casa e controllato in ambulatorio, con la gravidanza che si spegne come fosse un aborto spontaneo”.

Non è una novità che tra le ragioni di una scelta di tale portata, tra le altre, primeggi l’instabilità del rapporto di coppia e famigliare o addirittura la rottura del rapporto e l’insicurezza economica, cioè l’impossibilità e/o la paura di poter mantenere un figlio. Una politica in favore delle nascite, dei genitori e delle famiglie sarebbe la benvenuta, anche per invertire quella pericolosa curva verso una popolazione sempre più anziana con tutte le ripercussioni che ormai sono conosciute, soprattutto quando si parla di lavoro e di pensioni.
Secondo il dottor Fabrizio Bogliatto ci sarebbe comunque “una piccola ma costante diminuzione” del ricorso all’aborto nella zona di riferimento dell’AslTO4, anche se non si sa se e quante donne emigrano altrove, “magari al Sant’Anna di Torino dove di IVG se ne praticano 15-18 ogni giorno”. E comunque, per Bogliatto, la soluzione sta nell’attività dei consultori per i giovani – me ne cita almeno dieci presenti nella zona –, dove a farla da padrone sono l’informazione e la prevenzione. L’aumento dei giovani che ci vanno sarebbe addirittura del 30% rispetto ai consultori tradizionali.

Contrario all’obiezione di coscienza – che, secondo lui, blocca un servizio previsto dalla legge, mentre “l’atto medico deve essere scevro dal giudizio personale” -, il dottor Bogliatto si spinge a pensare che in futuro “sarà necessario indicare dei requisiti più specifici e pertinenti al momento delle assunzioni per assicurare l’applicazione della 194 e garantire il servizio che ne prevede”.
Non la vede così, ovviamente, chi – nel caso specifico della tutela della vita umana fin dal suo concepimento- afferma il primato della coscienza sulla legge, ponendo l’attenzione proprio sull’attività svolta nei consultori. E’ il caso di Filippo Maria Boscia, ginecologo, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, che nella sua analisi a livello nazionale afferma che i consultori familiari, da “luoghi di prevenzione dell’aborto” sono diventati “luoghi di erogazione di certificati e di accompagnamento all’aborto stesso” e propone “un loro ripensamento generale, una riforma che li riporti alla loro vocazione di strutture orientate al sostegno alla genitorialità in difficoltà”.

c.m.z.