Foto generata con I.A.

Domenica scorsa si è celebrata la 32a Giornata Mondiale dell’Alzheimer, dedicata alla sensibilizzazione su una patologia che, secondo le previsioni dell’Istat, nella sola Italia raggiungerà nel 2030 oltre due milioni di persone.

L’Alzheimer è la forma più comune di demenza senile ed è una patologia neurodegenerativa progressiva ed irreversibile del sistema nervoso centrale. Malgrado i suoi progressi, la ricerca scientifica non è ancora riuscita a individuare una cura definitiva. Per lo meno se ne riconoscono oggi con buona precisione i fattori di rischio e di insorgenza: l’età avanzata resta quello principale (sebbene si contino 24mila casi di demenza giovanile), e poi la storia familiare, traumi cranici, stili di vita scorretti, oltre a una stretta correlazione con il diabete e con altre condizioni che comportano problemi ai vasi sanguigni.

La malattia di Alzheimer coinvolge principalmente la memoria e si estende alle funzioni cognitive portando progressivamente a perdere ogni capacità di riconoscere sé stesso o i propri cari, oltre che a compiere azioni autonome e a prendersi cura di sé. È possibile individuare segnali premonitori: cambiamenti nella qualità della propria memoria, processi di pensiero o comportamenti che vanno oltre quello che ci si può normalmente attendere.

Nella malattia di Alzheimer si fa esperienza di una profonda solitudine: e ciò vale sia per il paziente che la vive in prima persona, sia in chi si prende cura del malato. Sempre utili le segnalazioni di familiari e conoscenti su eventuali cambiamenti di comportamento anche per meglio presentare il caso ad un medico o centro competente. Essere insieme, costruire una rete di supporto intorno al paziente e a chi se ne prende cura, non risolve la malattia ma sostiene, conforta e dona dignità e sollievo a chi la affronta.