(Fabrizio Dassano)

Andiamo al Salone del Libro di Torino! Presa la decisione, ovviamente lo abbiamo fatto nella giornata di sabato scorso, quella che poi, a conti fatti, si rivelerà la più terribile per l’affluenza del pubblico.

Ci affidiamo alla ferrovia e partiamo il mattino, fiduciosi. Il treno è in orario. Alla stazione di Ivrea tento con un certo sforzo di obliterare alla macchinetta i biglietti, che sono in realtà degli scontrinoni di carta termica, molli, lunghi 22 centimetri. Poi c’è il fatto che oltre ad infilarli senza accartocciarli devi pure accostare a sinistra finché non sentiamo “tr-tr-tr”. L’operazione dura pochi secondi e cerco di leggere cosa e dove la macchinetta ha stampigliato. Si c’è qualcosa… ma si confonde su un’altra scritta su cui la macchinetta ha stampato sopra. Tutto minuscolo… A guardare bene però riesco a decifrare la scritta che c’era sotto: “CONVALIDARE IN BASSO”. Ah! Ok. Quindi rifaccio tutto al contrario. “Tr-tr-tr”. Ha stampato, ma anche qui ha stampato su una scritta preesistente e non si legge cosa abbia stampato. Poi riesco a decifrare cosa c’è scritto sotto: “CONVALIDARE PRIMA DELLA PARTENZA”. Ok, perfetto.

Saliamo sul treno, affollato da molta gente che capisci benissimo che sta andando al Salone perché come noi hanno malcelati atteggiamenti d’attesa: famigliole e gruppetti di studenti. Rapidi scambi di occhiate aumentano la consapevolezza della comunanza di intenti. Arrivati a Torino optiamo per non scendere a Porta Susa, perché Porta Nuova è più vicina al Lingotto. Entrati nella grande stazione sprofondiamo nella metropolitana e due ali maestose di folla ci accolgono nell’atrio: sono disciplinatamente in coda, formando due gigantesche code che si dirigono alle due macchinette per i biglietti. Poiché mi attende un appuntamento al Salone del Libro per le 10,30 mi preoccupo nel vedere la coda immobile mentre passano i minuti.

Finalmente riusciamo a salire sulla metropolitana e arrivare al Lingotto. Siamo compressi come la carne in scatola. Tre donne, insegnanti, parlano con un tangibile accento veneto, simpatico. Emergiamo dal sottosuolo, c’è un bel sole e ormai migliaia di persone in coda. Gasp! Questa volta mi sembra proprio impossibile arrivare in orario. Il piazzale sembra una migrazione di massa in atto, il set del film “Waterloo” di Sergej Fëdorovič Bondarčuk del 1970 con le sue 16mila comparse napoleoniche. Su quale linea tentare un disperato attacco? Quello che ha meno coda.
Ci piombiamo, io con la e-mail d’invito sul cellulare che si spegne ogni minuto… Insomma una tragedia. Finalmente riusciamo a parlare con la sportellista. Ad un certo punto, quando vede i documenti, dichiara orgogliosa che il suo fidanzato è di Borgofranco d’Ivrea. Un sospiro di sollievo! Siamo già quasi parenti.

In un attimo ci piombiamo all’interno con il pass appena stampato ma non sappiamo dove andare. Poi con un po’ di calma riusciamo ad arrivare nel luogo convenuto. Ma questo sarà oggetto dell’episodio numero due.