(Doriano Felletti)

“Un ritto (polibibita del futurista Ing. Barosi). Un cilindretto cavo di ghiaccio coperto esternamente di miele. All’interno e al fondo: gelato di panna, poi nocciolini di Chivasso, pezzi di ananas, il tutto inaffiato di vermouth e menta glaciale” (Filippo Tommaso Marinetti, La cucina futurista, 1932).

Ebbene si, anche il padre del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, si accorse di una delle eccellenze enogastronomiche di Chivasso e propose il nocciolino come ingrediente di una improbabile «polibibita» (in pratica, un cocktail) nel suo ricettario di cucina futurista. Il nocciolino è forse il prodotto chivassese più celebre: ideato nel 1810 dal maestro pasticcere Giovanni Podio e presentato nel 1900 alla Esposizione Universale di Parigi dal Cavalier Ernesto Nazzaro, genero di Podio, fu premiato nel 1911 alla Esposizione Internazionale di Torino.

Nel 1904 Nazzaro ottenne il brevetto dal Ministero del Commercio del Regno d’Italia. Vittorio Emanuele III di Savoia concesse all’imprenditore il titolo di “fornitore della Real Casa”. Chivasso era allora, e lo è ancora, centro di eccellenza nella produzione di prodotti dolciari e di liquori.

Il processo di industrializzazione sul territorio chivassese ebbe luogo a partire dalla seconda metà del 1800. In quei tempi, le principali occupazioni dei cittadini erano il commercio e l’allevamento; ma il fatto di essere crocevia delle direttrici verso Torino, Vercelli / Novara / Milano, la Valle d’Aosta, Casale Monferrato, Asti, e di essere un importante nodo di interscambio ferroviario in direzione Novara/Milano e Ivrea / Aosta, favorì la nascita di diverse attività produttive.

Alla fine del XIX Secolo, a Chivasso vi erano 74 strutture ricettive, 17 alberghi, 15 caffè e 43 osterie. Forse anche per questo motivo, uno dei settori imprenditoriali che maggiormente si sviluppò in quel periodo fu quello della liquoreria. Tra questi, Antonio Parigi, il cui nome ebbe risonanza nazionale e internazionale. Nacque nel 1850, da Giuseppe e da Giusep-pina Ferraris. Sposò Giovannina Cossale ed ebbero quattro figli (Francesco, Lamberto, Fernando e Giuseppina).

Lavorava come rappresentante di commercio ma era dotato di spirito e di capacità imprenditoriali che lo portarono a intraprendere un’attività in proprio. Iniziò con una prima azienda produttrice di liquori a nome collettivo, denominata Garetti – Parigi – Graziola. Dal gennaio 1890 si mise in proprio, fondando la Ditta Parigi Antonio, stabilimento enologico e distilleria di liquori. L’attività fu insediata a Palazzo Crosa (oggi Palazzo Fassola), in via Borla nel pieno centro storico chivassese, dove rimase fino al 1895. Fu in quell’anno che la vita di Antonio Parigi si incrociò con un’altra eccellenza in campo enologico del territorio piemontese: il rinomato marchio Gancia. Nel 1850, infatti, Carlo Gancia e suo fratello Edoardo, di ritorno dalla Francia e dopo aver appreso le tecniche di vinificazione utili alla produzione dello champagne, si insediarono a Chivasso affittando una vecchia cantina dove iniziarono gli esperimenti che portarono alla nascita dello spumante italiano. Così nacque ufficialmente la casa di produzione Fratelli Gancia.

Nel 1895 la ditta lasciò Chivasso e si trasferì a Canelli: fu così che Antonio Parigi acquistò il caseggiato dismesso, con annessa distilleria, situato al numero 15 di via Torino, restaurandolo e rendendolo nuovamente produttivo. Quello stabile oggi non esiste più: al suo posto, all’angolo con Via Giovanni Pascoli, vi è un moderno caseggiato che ospita al piano terra una farmacia.
Nel 1904, Antonio Parigi ottenne l’autorizzazione al commercio con il Canton Ticino, nella Svizzera italiana, ma, nello stesso anno, morì prematuramente. Al timone dell’azienda subentrò il figlio maggiore Francesco a cui si affiancò, dopo il Primo conflitto mondiale, il fratello Fernando per curare la parte commerciale. Alla morte di Francesco, sua moglie Paola Grosso continuò l’attività fino al 1964, anno di cessazione della produzione.

Nel corso della vita dell’attività, dal 1890 al 1964, la ditta mise in commercio innumerevoli liquori e distillati, ottenendo diversi riconoscimenti.

Il grande successo arrivò durante l’Esposizione Internazionale di Torino del 1911, organizzata in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia: la ditta presentò per la prima volta il vermouth bianco Excelsior e venne premiato con due Grands Prix.

Il prodotto ebbe ampia distribuzione e fu commercializzato anche nelle colonie italiane, come ben evidenziato da una serie di manifesti pubblicitari dell’epoca e da una copertina del periodico La rivista mensile del Touring Club Italiano n. 7 del luglio 1913: vi era raffigurato, su uno sfondo che richiamava l’Africa coloniale, un ascaro (soldato africano arruolato con le truppe italiane) in uniforme che teneva con una mano la bandiera italiana con lo stemma sabaudo e con l’altra mano una bottiglia del vermouth.

Un altro prodotto celebre era la Camomilla Parigi che veniva presentata così: “Questo Elixir, vero concentrato di Camomilla, contiene tutti i principi solubili nell’acqua e nell’etere che si trovano nel fiore, prediletto dalle donne isteriche e dagli uomini nervosi. Si prende a bicchierini e come bevanda fredda e calda, a seconda dei casi. Da non confondersi colle molte imperfette imitazioni”. Si tratta di un particolarissimo concentrato di Camomilla, quasi un ansiolitico dei tempi passati. Nessuno ne conosce la vera ricetta: quando la ditta decise di chiudere i battenti, gli eredi dei fondatori ne trattennero la ricetta.

Ma la produzione di Antonio Parigi non è soltanto un lontano ricordo. In questi giorni, l’occhio attento potrà notare che le belle bottiglie del vermouth oggi chiamato GrandsPrix 1911 sono ricomparse dietro le vetrine delle enoteche. Il merito è di tre rinomati imprenditori canavesani, eccellenze nel campo dell’enogastronomia, che hanno deciso di rilanciare sul mercato questo pregiato prodotto. Ma per non scivolare nella pubblicità, lascio alla curiosità del lettore la sua scoperta e la sua degustazione.