Roma è tornata caput mundi e basta fare una passeggiata in via della Conciliazione per rendersene conto. L’aria è densa, satura di attesa, ma anche di cavi, tralicci, microfoni, badge appesi al collo… Ci si fa largo tra centinaia di troupe giornalistiche, arrivate da ogni angolo del pianeta. Basta salire su un punto sopraelevato e da lì si vede chiaramente che ogni balcone, terrazzo, giardino o anfratto con vista anche solo parziale su piazza San Pietro è stato trasformato in un set televisivo. Di sera, i fari si accendono, ed il colonnato del Bernini sembra una scena da film, uno studio a cielo aperto.
È divertente, almeno per chi ci lavora dentro, osservare la macchina comunicativa all’opera. Si pensa che, trattandosi di un evento tanto rilevante, siano coinvolti solo specialisti. Ma non è proprio così: non sono molte le testate che possono permettersi un vaticanista di lungo corso o un fotografo che conosca e segua la liturgia, le sfumature, il silenzio. Molto più spesso, prevale un altro meccanismo: esserci. Non importa se si è preparati, se si conosce la differenza tra un conclave e un concistoro, tra uno zucchetto paonazzo e uno porpora. Basta essere lì, possibilmente con un microfono che riporti il logo della testata in bella vista.
Capita così di sentire domande che fanno sorridere, se non riflettere: “Ma cosa mangiano i cardinali durante il conclave?”, “E se uno è celiaco?”, “Ma la Messa la danno in replica?”. Intanto, i porporati, nel silenzio delle Congregazioni generali, giurano solennemente di mantenere il segreto. E poi lo fanno di nuovo, entrando in conclave, con un giuramento ancora più vincolante, la cui violazione comporta la scomunica automatica.
Nonostante questo, ci sono colleghi che non si rassegnano. Aspettano, sperano, cercano lo scoop, l’indiscrezione, la battuta clamorosa. Come se l’obiettivo del conclave fosse intrattenere. Come se i cardinali fossero lì per “fare notizia” e non per riconoscere, con preghiera e discernimento, chi sarà chiamato a portare avanti la barca di Pietro.
La verità è che davanti a un evento come questo siamo tutti uguali. Il decano dei vaticanisti, il reporter appena arrivato, il fedele che guarda da casa, il contadino dall’altra parte del mondo. Non c’è gerarchia. Non c’è accesso privilegiato. “Extra omnes” significa fuori tutti: se no, sarebbe stato “extra multos”.
Quindi tocca stare zitti. Sedersi. Attendere. Guardare il comignolo.
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