(Editoriale)

Dopo Pasqua e Pasquetta anche il 25 aprile e il 1° maggio, uno di sabato e l’altro di venerdì. Entrambi da trascorrere nella limitazione delle libertà personali per cercare di far ostruzione al Covid-19.

Psicologicamente, economicamente e moralmente appiattiti dall’ormai infinito ballo sulla mattonella nel sempre più stretto appartamento, guardando a distanza la primavera che fa il suo corso, nel piacevole tepore del sole d’aprile.

Chi aveva desiderio di stare un po’ di più in famiglia ha avuto il tempo di andare in overdose, chi voleva staccare quel tantino dal lavoro per rifarsi le idee ha saturato il deposito dove metterle e chi cercava relax e ragioni per fare nulla ne ha una sfilza da fare adesso il giro del mondo.

Dopo la crisi saremo diversi; diversi da oggi certamente si! Ma per fare un passo indietro nel passato o per una rimodulazione del futuro? Ne usciremo, tutto andrà bene, ce la faremo, prima o poi passerà. Nessuno osa pensare il contrario, ed è bene che sia così!

Ci manca solo che venga meno quel pizzico di speranza che fa sopportare cotanto peso da meritarci una medaglia (come non perde occasione di ribadire un noto uomo politico), in mezzo a qualche approssimazione di troppo che non illumina il cielo. Dopo oltre un mese di confinamento e con ancora una ventina di giorni, non possiamo più essere lasciati soli con noi stessi e con la sola vaga idea che prima o poi passerà. La percezione dello Stato si va rarefacendo.

Ci vuole qualche certezza in più, qualche segnale di fiducia nei confronti dei cittadini e tante litigate politiche nazionali o regionali in meno, qualche denaro in più e meno promesse inevase.

Se anche il ministro Patuanelli ha chiesto certezze a chi pratica la scienza, vuol dire che qualcuno si sta accorgendo che oltre non si potrà andare e che la politica deve ritrovare la leadership nelle decisioni per il bene comune.

Che è certo quello di combattere il coronavirus, ma non solo quello.