Il Senato ha approvato la riforma costituzionale delle autonomie regionali con l’obiettivo (ministro Calderoli) di rafforzare i poteri locali. Contestualmente a livello partitico i poli stanno predisponendo le liste per l’imminente voto in 5 Regioni (Piemonte, Abruzzo, Basilicata, Umbria, Sardegna); ma in questo caso la linea è opposta al decentramento, con Roma che assume la guida delle trattative e delle decisioni, con il territorio de facto esautorato.

Nel destra-centro è esploso il caso della Sardegna con la Meloni che ha imposto al vertice il sindaco di Cagliari Truzzu, esautorando il presidente uscente della Lega Solinas. Ora, di rivalsa, Salvini chiede la guida della Basilicata, suscitando le ire dell’altro vice-premier Tajani, che difende il presidente uscente di Forza Italia Bardi. La discussione non avviene sulla base dei programmi e delle valutazioni sull’operato dei governi regionali, ma esclusivamente sui rapporti di forza nazionali tra FdI, Lega, Forza Italia. Potremmo ricordare un’antica ripartizione: “cuius regio, eius religio”.
Nel centro-sinistra le cose non vanno meglio perché c’è una sfida crescente per il primato tra l’ex premier Conte e la Schlein: l’accordo in Sardegna su una guida pentastellata non è stato seguito da una contropartita in Piemonte; anzi, Roma ha avocato a sé la trattativa, come per altre amministrazioni, regionali e comunali.

Nel frattempo la Meloni e la Schlein cercano il plebiscito popolare nel previsto confronto televisivo; nell’attesa le rispettive forze politiche sono sostanzialmente commissariate, prive di poteri reali, chiamate ad eseguire le scelte del vertice.

Ma qualcosa non funziona in questo meccanismo “americano” se la premier e la segretaria del Pd tardano a candidarsi alle Europee. La Meloni sa che la sua presenza in lista per il 9 giugno porterebbe FdI, secondo i sondaggi, oltre il 30%; ma il prezzo politico lo pagherebbero la Lega e Forza Italia, che sarebbero ridotti ai minimi termini, con Salvini e Tajani nel ruolo degli sconfitti. L’implosione dei due partiti diverrebbe una possibilità concreta: già nella Lega è scoppiata la rivalità Salvini-Zaia, mentre in Forza Italia cresce l’assenza della Famiglia Berlusconi, preoccupata per il futuro di Mediaset. Reggerebbe il Governo alla Waterloo di Lega e Forza Italia?

Nel Pd – come scrive il “Corriere” – la segretaria si sente isolata. La maggioranza del partito, da Romano Prodi al leader della sinistra Orlando, è contraria alla candidatura-civetta alle Europee, che – come detto dal leader dei Riformisti, Bonaccini – potrebbe fare il gioco della Meloni e della sua linea plebiscitaria. Nei Dem sono inoltre in discussione le nuove scelte di politica estera (dalla Ucraina al Medio Oriente) e la confermata radicalità sui temi etici. Il numero uno della componente cattolico-democratica, l’ex ministro Delrio, ha minacciato di sospendersi dal partito dopo le contestazioni della Schlein alla consigliera regionale del Veneto Anna Maria Bigon, per il suo voto contrario al disegno di legge regionale sul fine-vita. Delrio ha ricordato che la libertà di coscienza è sempre stata rispettata, sostenuto in questo dal laico Bonaccini. Peraltro la Costituzione, all’art. 67, ricorda che il parlamentare “esercita le sue funzioni senza limite di mandato”. E il principio vale anche a livello regionale.

Ma il problema maggiore per la segretaria dem è il fallimento del “campo largo” del centro-sinistra, come ai tempi di Enrico Letta; la chiusura del dialogo con i Centristi (separati in casa) non è stata ricompensata da una nuova stagione con il M5S; anzi. Le divergenze crescono, nuovi nodi sorgono, come sanno i Dem piemontesi, “colpevoli” di aver vinto a Torino con il sindaco Lo Russo. Resta l’intesa con Verdi e Sinistra Alternativa, un po’ poco per aprire una nuova stagione politica.

Infine i Centristi si collocano nel voto regionale e comunale secondo “la pelle di leopardo”, da sinistra a destra, mantenendo una forte rivalità tra Renzi e Calenda, con l’obiettivo reciproco di superare alle Europee il tetto del 4%. In un panorama politico che tende a privilegiare le persone (a scapito dei programmi e delle alleanze), anche la diaspora centrista conferma questa tendenza, mentre la crisi epocale che attraversa l’Europa, schiacciata da due guerre, esigerebbe altre priorità, con la politica come servizio e il “bene comune” come bussola.