(di Fabrizio Dassano)

Anche quest’anno scolastico è terminato. La migrazione di massa degli studenti delle scuole superiori di Ivrea è un fatto compiuto. Tra venerdì scorso e lunedì tutto si è fermato per la pausa estiva. L’ultimo giorno di scuola è stato molto colorato e colorito. Iniziano gli scrutini e poi gli esami fin oltre la metà di luglio. A noi, che abbiamo ormai dimenticato i fasti e i nefasti delle “liberazioni” carnevalesche di un tempo, ci sono sembrati particolari i festeggiamenti dell’ultimo giorno di scuola: la novità è stata l’introduzione della farina tipo 00 da lanciare sulle colleghe e sui colleghi di studio e poi innaffiare con acqua per dimostrare l’effetto collante sui capelli. Tutti avevano le loro brave magliette di classe. Poi hanno abbandonato il campo di battaglia davanti alla scuole.

Si dovevano ritrovare la sera per la grande festa generale, ma le cose sono andate storte e l’evento è saltato all’ultimo. Sono tempi difficili: speriamo riescano a riavere i soldi del biglietto.

Con il calo del traffico, con precisione svizzera, una squadra di operai ha dato il via allo smontaggio della nefasta rotonda di Porta Vercelli fin dal lunedì mattina. Ci andranno dei soldi per smontarla, ma in effetti ci erano già andati dei soldi anche per montarla.

In questa finta estate dove il maltempo si sta mangiando anche il mese di giugno, le attività di lavoro proseguono. Per tutta la settimana lavoro fuori sede, a Settimo Vittone con insegnanti e specialisti che dirigono un gruppo di studenti. Si, loro hanno sacrificato la prima settimana di vacanze per andare a studiare un sito medioevale dal mattino al pomeriggio. Un clima da vacanza e studio approfondito insieme. Una bella miscela, anche perché provengono da mezzo Canavese con l’interesse della loro giovane età.

Andiamo con il pulmino messo a disposizione della scuola e al ritorno prendiamo l’autobus del servizio pubblico che ci riporta ad Ivrea. Il primo giorno l’autista è stupefatto: sembra quasi non voler farci salire perché teme che più di venti persone che magari vogliono fare il biglietto dell’autobus siano un problema di tempo e di resto. E poi che ci fanno venti studenti con gli zaini in giro il primo giorno di vacanza? In realtà siamo tutti singolarmente forniti di regolare titolo di viaggio. Chiarito l’equivoco, saliamo e conquistiamo i sedili. L’autista è persona simpatica ma scoppia l’ennesimo nubifragio e il disturbo acustico non mi fa capire se, azionando una miriade di tasti tutti uguali sulla mia testa, effettivamente essi facciano suonare il campanello della prenotazione della fermata. In realtà suona perfettamente e l’autista che mi osserva allo specchio dice – ridendo – al mio collega, seduto più avanti: “quello lì non lo facciamo mica scendere”. Il mio collega prontamente gli risponde: “Non sono gli studenti, è quel bambino con la barba che suona in continuazione”. Alla fine capisco e la smetto.

Si arriva a Ivrea e poi scendo dal bus nei pressi di casa. Sono impegnato ad infilarmi la mantella perché diluvia. Appena l’autobus riparte per Chivasso realizzo che non ho più il telefono. Panico. Corro a casa e telefono col telefono di casa al mio telefono cellulare. Dopo un po’ niente, scatta la segreteria. Non mi perdo d’animo, in fondo nella mia vita ne ho passate ben di peggio! Richiamo e questa volta qualcuno risponde. È l’autista con voce molto ferma e tranquillizzante. Io dichiaro di aver lasciato il telefono sull’autobus. Lui aggiunge: “Anche il portafoglio!”. Mi tocco nella tasca posteriore destra dei pantaloni ed in effetti è vuota. Comunque mi spiega che tra circa un’ora sarà nel medesimo posto in cui sono sceso ma dall’altra parte della corsia della strada e io potrò aspettarlo alla fermata, direzione Pont Saint Martin. Ho compreso. Aspetto 30 minuti girando per l’appartamento senza riuscire a far nulla di sensato, poi vado in strada nel punto convenuto. Ho tenuto la mantella-poncho perché sono convinto che si rimetterà a piovere. Così con venti minuti d’attesa, avvolto nella mantella, inizio a sudare perché nel frattempo è uscito il sole e siamo quasi a metà giugno. Al minuto spaccato arriva l’autobus, si aprono le porte e il gentile autista non solo mi rida il tutto, ma mi fa anche controllare se ho tutto nel portafoglio. Io controllo e ringrazio e mi vergogno sotto tutti gli sguardi dei passeggeri che allungano il collo per non perdersi la scenetta.

Ringrazio e scendo. E penso che in fondo il genere umano talvolta conserva il proprio primigenio senso d’altruismo. E giuro che non schiaccerò più tutti i pulsanti della plafoniera nei prossimi viaggi di ritorno della settimana e starò attento a non dimenticare nulla sull’autobus. Anche perché l’autista, per tutta la settimana, farà quel turno.