Foto: Chiaverano – Santo Stefano di Sessano
Avvezzi a frequentare le chiese parrocchiali del Canavese, in buona parte costruite in stile tardo-barocco, facciamo fatica a immaginare quelle più antiche, quasi ovunque rimpiazzate da nuovi edifici. È poi del tutto svanito il ricordo delle domus ecclesiae, nelle quali le prime comunità cristiane si riunivano per pregare insieme, ascoltare la Parola di Dio e celebrare l’Eucaristia. (cfr. Lettera ai Romani, cap. 16). A poco a poco, sorsero nelle città le grandi cattedrali, dalle quali dipendevano le chiese parrocchiali urbane e suburbane. Le chiese rurali più importanti, dette “plebane” (dal lat. plebs, popolo), vennero di solito costruite fuori dei centri abitati (ville e borghi) e servivano a un’area assai vasta.
Come la chiesa plebana di Rivarolo, intitolata a San Cassiano, sorgeva sul luogo dove oggi è il cimitero. Si ritiene che la chiesa plebana più antica della diocesi di Ivrea sia S. Maria in Doblazio, presso Pont Canavese. Nel Liber Decimarum del 1368, che registra una situazione ormai consolidata, compaiono le chiese plebane di Settimo Vittone, Brosso, Lugnacco, Vespiola (presso Baldissero), Doblazio, Rivarolo, Ozegna, San Martino, Candia, Vische, Rondissone, Areglio (Borgo d’Ale), Uliaco (presso Villareggia) e, nell’Oltrepò, San Sebastiano (ora diocesi di Torino). Da ogni chiesa plebana dipendevano le chiese minori; da quella di Settimo Vittone dipendevano nove chiese, alcune parrocchiali. Alla diocesi di Torino appartennero, dai tempi più remoti, le chiese plebane del Canavese occidentale: San Maurizio, Ciriè, Corio, San Ponso e Cuorgnè. A San Ponso, come a Settimo Vittone, si conserva tuttora l’antico battistero, privilegio appunto di una chiesa matrice.
Per avere un’idea di quegli edifici, che per la maggior parte subirono ricostruzioni oppure vennero abbandonati, quando non del tutto scomparsi, prendiamo in considerazione due antiche chiese plebane. Santo Stefano di Sessano (sec. XI), presso Chiaverano, è a navata unica con tre campate, larga m 6 e lunga m 15, con campanile sulla facciata (clocher-porche). San Pietro di Issiglio è attualmente la cappella del cimitero.
In ambedue i casi, l’aula, con tanto di abside, è orientate a est e ha la copertura a capriate. Nell’abside era collocato l’unico altare, un semplice parallelepipedo. Non dovevano esserci banchi o altro: tutti stavano in piedi oppure s’inginocchiavano sul pavimento. Ma l’aspetto più interessante di queste e di altre antiche chiese e cappelle (o “oratori”) erano le immagini, semplici ed essenziali. A lungo trascurate, spesso rovinate, solamente negli ultimi decenni sono diventate oggetto di studio e di restauro.
Una pubblicazione di carattere divulgativo è L’iconografia delle antiche chiese e cappelle del Canavese (Tab, Roma 2022), che intende gettare luce su quei dipinti, dando soprattutto rilievo alla loro significatività. Essi, infatti, documentano un programma iconografico, che nelle grandi chiese costruite in epoche successive è andato via via disgregandosi. Sotto questo profilo, merita rilevare che l’umile periferia ha conservato un patrimonio che, invece, andò perso negli ambienti più prosperi e progrediti.
In secondo luogo, un esteso confronto con il patrimonio artistico delle aree circostanti, dal Piemonte al Canton Ticino all’Alto Adige, ha permesso di constatare come l’iconografia delle antiche chiese e cappelle del Canavese è sostanzialmente identica a quella coeva dell’intero arco alpino. Estendendo, infine, la ricerca alla tradizione romana e a quella bizantina, ne è risultato una sorprendente costatazione: le modeste immagini che ornavano l’abside dei nostri antichi edifici cristiani rispecchiano quanto ancora risplende nei monumenti di Roma e dell’Oriente.
A questo punto, portiamo la nostra attenzione sulle immagini che le antiche chiese offrivano agli occhi del popolo orante. Nel catino dell’abside campeggia di norma il Cristo glorioso, intorno al quale sono i simboli dei quattro Evangelisti (il cosiddetto “tetramorfo”), mentre nel tamburo absidale sono raffigurati i dodici Apostoli. L’antica iconografia era incentrata non sul Crocifisso, come nelle chiese post-tridentine, bensì sul Cristo vivente, il Kyrios, il Pantocrator, che troneggia al centro dell’abside. A lui, che “siede alla destra del Padre” e, al tempo stesso, è presente nella sacra Liturgia, i fedeli rivolgono l’invocazione: Kyrie, eleison!
Come insegna il Concilio Vaticano II, Cristo “è presente nel sacrificio della Messa, … è presente nei sacramenti, … è presente nella sua parola, …è presente quando la Chiesa prega e loda…” (Sacrosanctum Concilium, 7). Intorno al Cristo glorioso sono le figure degli Evangelisti, testimoni della sua vita terrena. Sotto di lui sono raffigurati gli Apostoli, che annunciano il vangelo a tutte le genti. Non manca mai l’immagine di Maria, a volte nel catino dell’abside (come in San Pietro di Issiglio), più sovente sull’arco absidale, nella scena dell’Annunciazione (come nell’absidiola della cripta della cattedrale di Ivrea), nelle scene evangeliche dell’Infanzia di Gesù o in qualche icona mariana.
Non si tratta dunque di immagini didascaliche, di una Biblia pauperum che avrebbe lo scopo di istruire gente che non sa leggere e scrivere! Piuttosto, come ha scritto un insigne studioso di archeologia cristiana, “ciò che la voce umana non poteva dire che in frasi successive, gli insiemi iconografici permettevano di contemplarlo in un tutto organico, che non solamente si offriva allo sguardo e alla meditazione dei presenti, ma li avvolgeva in un mondo mistico, nel quale essi avevano l’impressione di trovarsi in qualche modo incorporati e assorbiti” (Lucien A. de Bruyne, La décoration des baptistères paléochretiennes, in: Miscellanea liturgica in honorem L. Cuniberti Mohlberg, Roma 1948, p. 220). Nelle chiese dei primi secoli la funzione dell’iconografia era infatti quella di “suggerire un concetto spirituale più nascosto, intelligibile solo agli iniziati alla fede e ai misteri cristiani” (Id., Iconografia cristiana antica, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI (1951), col. 1549).
Col tempo, il potente ed essenziale programma iconografico delle antiche chiese e cappelle si è arricchito, ma è andato altresì disperdendosi. Lo sviluppo è dovuto principalmente all’influsso delle devozioni, il cui pregio è quello di rendere più vicini al cuore e alla vita il patrimonio della fede e la Liturgia della Chiesa. Anzitutto, la devozione alla Passione del Signore e alla Madre di Gesù; inoltre la devozione ai Santi, quelli antichi e quelli che di mano in mano infoltirono il calendario.
Ne è esempio la chiesa di San Giorgio a Valperga, dove le Storie della Passione ricoprono le pareti del presbiterio (la Crocifissione sulla parete di fondo e le scene della parete sinistra sono quasi del tutto scomparse), a Maria sono dedicate la terza cappella a destra (Madonna in trono e Storie dell’Infanzia di Cristo) e altre immagini, la Storia di San Michele arcangelo si dispiega sulla parete della navata centrale, e numerosi Santi popolano ogni angolo della chiesa.