(elisabetta acide) – I passi sinodali di questi anni hanno sicuramente contribuito a “rilanciare” la riflessione pastorale parrocchiale ed a risvegliare riflessioni in merito al “metodo” ecclesiale, che come abbiamo già avuto modo di ricordare in diverse occasioni, costituisce il “nome stesso della Chiesa”, come affermava Giovanni Crisostomo: “ Ἐκκλεσία συνόδου ἐστὶν ὄνομα”.

L’opera dell’impianto della Chiesa raggiunge il traguardo quando la comunità dei fedeli, radicata ormai nella vita sociale e in qualche modo conformata alla cultura locale… si arricchisce di quei ministeri e istituzioni che sono necessari perché il popolo di Dio, sotto la guida del proprio vescovo, conduca e sviluppi la sua vita” (Ad Gentes, n.19).

Il Concilio Ecumenico Vaticano II  invitava la Chiesa ad essere missionaria, viva, espressione di quella realtà battesimale che rende “re, profeti sacerdoti”.

Dobbiamo ricordare che la comunione ecclesiale ha una dimensione universale, ma trova la sua espressione concreta nella parrocchia che costituisce l’espressione  della Chiesa stessa che vive in mezzo alle case.

In questa dimensione, è importante riscoprire, nella fede, il vero volto della parrocchia, il: “mistero” stesso della Chiesa presente e operante in essa” (Christifideles laici, 27).

La parrocchia, comunione e missione della Chiesa particolare, è una “comunità di battezzati che esprimono e affermano la loro identità soprattutto attraverso la celebrazione del Sacrificio eucaristico” (Ecclesia de Eucharistia, 32).

La parrocchia rappresenta la  modalità storica con la quale la Chiesa particolare, secondo la logica dell’Incarnazione, si fa presente in un determinato territorio e nelle pieghe ordinarie della vita pastorale.

Ricordiamo tutti l’impulso offerto dalla Diocesi di Ivrea proprio a seguito del Concilio  Ecumenico Vaticano II, e dobbiamo ricordare, l’allora giovane e intraprendente parroco, don Giuseppe Boero, con una visione audace e profetica di futuro, da subito, aveva costituito il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio degli Affari Economici nella piccola ma viva parrocchia nella quale era pastore.

La decisione, dunque del parroco, si innesta in una “tradizione” che seppur assente da parecchi anni, “vanta” una esperienza ed una sensibilità che parte dalla consapevolezza che è importante promuovere nella comunità, uno stile comunicativo libero ed autentico, nella logica evangelica del coraggio, della consapevolezza, della responsabilità.

Sicuramente il percorso sinodale della Chiesa Italiana, seguito con interesse e partecipazione nella comunità parrocchiale, ha fornito alcuni stimoli per lo sviluppo di riflessioni, le schede analizzate, le iniziative portate avanti, il tentativo di coniugare le iniziative con le inevitabili difficoltà dell’essere “camminatori” a “passi diversi” superando eventuali “confusioni” o “divisioni”, affidandosi costantemente all’azione dello Spirito Santo.

La parola corresponsabilità è risuonata in molti percorsi e nella logica di alcuni cammini intrapresi, pur nella fatica della sua attuazione e della sua interpretazione.

Attraverso tutte le sue attività la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione.

È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere   che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambito di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione”. (EG 28)

Il Consiglio pastorale, previsto (lo ricordiamo non obbligatorio, ma segno importante di una apertura alla corresponsabilità) dall’art. 536 del Codice di Diritto Canonico, rappresenta una partecipazione ai processi decisionali nella logica del discernimento che, lo ricordiamo spettano al parroco, ma potrebbe costituire un “viaggio” e una crescita comunitaria, dove i partecipanti esprimano una coscienza cristiana matura che potrebbe essere “sintetizzata” nella valutazione per le decisioni pastorali parrocchiali.

Il Consiglio pastorale parrocchiale, dunque, coniuga il principio sinodale e quello gerarchico, come “spazio” dove la  comunità cristiana, per vivere e comunicare il Vangelo, attua il discernimento attorno al parroco.

Interessante la logica della “consultazione”, a cui forse non siamo più abituati, troppo “abituati” al pensiero “assoluto” e spesso scambiata per “diplomazia” o “mediazione”, che seppur importanti in alcune circostanze, non possono e non devono nella Chiesa, essere scambiate per “democrazia”.

Ho sempre sostenuto che “la Chiesa non è una democrazia”, ma ha una forza che deriva da quella logica di At 2 che ci fa sperimentare lo “stile cristiano” che coniuga  la logica della sinodalità, con quella dell’autorità della guida nella comunità cristiana, in armonia con il Vescovo e la Chiesa universale.

Importante quella “infallibilità in credendo” dei fedeli, nella condivisione della pluralità dei doni carismatici, per imparare a cogliere la volontà di Dio, per vivere la comunione nella diversità. In una parola, ci si esercita a essere Chiesa in atto.

Allora riflettiamo sul senso del “consiglio” che non dovrebbe sostituire l’iter della democrazia:  elaborazione,  votazione e prevalenza della  maggioranza, ma un ascolto ed un dialogo costruttivo e sereno, un dibattito onesto e leale, che conducono ad un discernimento alla luce dello Spirito.

La forza del Consiglio Pastorale Parrocchiale credo risieda proprio in questo: il dialogo, l’ascolto la “riflessione” conducono non alla semplice ratifica, ma alla condivisione di pareri liberi, sinceri e chiari tra fedeli che condividono cammino di fede nella comunità, nel superamento di ciò che è semplice “servizio” o “collaborazione” per una vera “corresponsabilità” alla vita e alla missione della Chiesa.

Un impegno dunque attende i 6 membri (di cui 3 donne) nominati dal parroco, che con il sacerdote a guida della comunità, don Valerio D’Amico, avranno un cammino comune, quello di progettare, accompagnare, vigilare le attività della parrocchia per provare a renderle più adeguate al mandato dell’evangelizzazione, riflettere sulla situazione del territorio parrocchiale per analizzare le esigenze umane e religiose, per proporre interventi pastorali che aiutino tutti nella crescita della fede, nel rispetto dell’azione ecclesiale dei battezzati.

Papa Francesco aveva sottolineato proprio questo particolare “mandato”: “non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti” (Evangeli Gaudium 31)

Attuazione, dunque della sinodalità come “metodo”, crescita della fede, della carità, della missionarietà, responsabilità condivisa e segno concreto del “valore” della laicità nella chiesa ed espressione della comunità ecclesiale che vive e cammina insieme.

Una riflessione ed un percorso di “educazione” alla vita di comunione, trasformazione  dei bisogni in obiettivi da raggiungere in un’ottica “pastorale”, ricercando insieme strumenti concreti e verificabili per un percorso sempre nuovo e incarnato nell’umanità, Chiesa che vive nelle case degli uomini.

Riscopriamo allora il senso del “consigliare” come “arte spirituale” e quello della “correzione fraterna” (Mt 18,15-17) con intuito ed intelligenza, pazienza e misericordia, per vivere relazioni comunitarie serene e costruttive.

Discernimento dell’ora giusta e pronta.

“Camminare insieme” è possibile solo se si fonda sull’ascolto comunitario della Parola e sulla celebrazione dell’Eucaristia, sulla preghiera che ispirano le decisioni più importanti nella vita della comunità, gli atteggiamenti e le iniziative di più ampia condivisione.