“Nella mentalità semitica c’è un modo di esprimersi simbolico che gli studiosi hanno chiamato “polarismo”: se io colgo i due poli di una sfera, riesco a sollevarla e a reggerla. Nascita e morte, Vangeli dell’infanzia e Vangeli della pasqua sono stati il “polarismo” della vita di Gesù e della predicazione della Chiesa. Agli inizi del cristianesimo, nella meditazione sull’incarnazione natalizia e sulla risurrezione pasquale si raccoglieva sinteticamente tutto l’annuncio salvifico cristiano. Per questa ragione i due mini-Vangeli a cui attingeremo non sono tanto una folcloristica sequenza di scene orientali, di sentimenti delicati, di vicende familiari e classiche riguardanti il delizioso “Bambino di Betlemme” a cui anche l’arte sacra ci ha abituati; sono invece un primo canto al Cristo glorioso la cui apparizione nel mondo è già il compendio cifrato e decifrabile della salvezza che egli ci porta.

Si tratta, quindi, di un racconto storico carico di immagini e di segnali simbolici ma anche e soprattutto carico di teologia. In pratica queste due narrazioni, parallele ma autonome, sono dirette dalla fede in Cristo e dirigono la fede in Cristo di chi le medita. Al centro, infatti, non c’è una dolce e drammatica storia familiare ma il mistero fondamentale del cristianesimo, l’Incarnazione, la Parola nelle parole, Dio nella tenda della “carne” fragile dell’uomo. “I due mondi da sempre separati, il divino e l’umano – scriveva il filosofo danese Soeren Kierkegaard – sono entrati in collisione in Cristo. Una collisione non per un’esplosione ma per un abbraccio”.

Proprio per questa densità teologica i due libretti evangelici dell’infanzia sono difficili, sono tutt’altro che pagine per bambini, come ancora qualcuno sospetta. Sotto la superficie smaltata dei colori, dei simboli, delle narrazioni, si apre un testo che è simile ad una cittadella ben compatta e armonica di cui bisogna possedere la mappa per raggiungerne il cuore”.

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Così scriveva Mons. Gianfranco Ravasi nell’anno 2007, presentando una monumentale esegesi di quelli che chiamiamo “Vangeli dell’Infanzia”.

Ne sono Autori gli Evangelisti San Matteo e San Luca che, in due Capitoli per ciascuno, “totalizzano” 180 versetti.

E crediamo  – per il poco che ci è dato conoscere del tratto umano e scientifico dell’attuale Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – che il Card. Ravasi avrebbe senz’altro apprezzato l’impegno e l’intelligente opera di divulgazione che è stata allestita dalla gente di Borgo Revel, nella Notte di Natale appena trascorsa.

Impegno che non è stato lasciato alla pur avvincente dimensione del più ordinario, edulcorato allestimento di scenette ricorrenti nell’immaginario collettivo, ma che, con la regìa sapiente della Prof. Elisabetta Acide, una studiosa ormai nota sia nel Canavese, sia nel Vercellese (insegna Religione al Liceo Classico Lagrangia di Vercelli) ha tradotto in pillole proprio quel dinamismo “polaristico”, di cui si diceva in esergo.

Quattro capitoli, dunque, che attingono da un momento fondamentale nell’economia della rivelazione, quale è la vocazione e la conversione di San Matteo.

Personaggio centrale, impersonato proprio – ne parla lei stessa nel nostro video – da Elisabetta Acide (a sinistra nella foto in alto; con lei Zaccaria e Santa Elisabetta).

Poi, i passi di quella che potremmo dire una sorta di azione liturgica studiata non soltanto nella sua rappresentazione scenica, ma assistita dai narratori, secondo una illustrazione puntuale di ciascun momento cruciale: dalla vicenda umana di Zaccaria e Santa Elisabetta, alla nascita di Giovanni Battista “il Precursore”; poi l’Annunciazione e subito l’attenzione si fissa su quella vera e propria “summa” di “provocazioni” per l’uomo e la donna di ogni tempo, che è il primo Sogno di San Giuseppe: uomo “giusto”, alle prese con la tensione tra norma morale e quella giuridica.

Tanti altri sono i momenti avvincenti che questo esperimento – a nostro modesto avviso – pienamente riuscito ci presenta: abbiamo cercato di metterli a repertorio nel nostro video, che volentieri offriamo ai Lettori, insieme alla gallery.

Anzitutto, la realtà parrocchiale, guidata dal Parroco Don Valerio D’Amico (il San Giovanni Battista centrato dell’ “occhio di bue” mentre, dalla finestra, annuncia “Colui che deve venire”), dinamica e capace di imprese notevoli come questa.

E’ il primo anno che si accoglie questa sfida: messi a punto alcuni particolari (peraltro, il tempo non è stato particolarmente clemente: ha piovigginato tutta la sera) si può dire che abbiamo assistito all’inizio di una bella Tradizione.

In secondo luogo, il risultato pastorale, già palpabile: una rappresentazione liturgica che è molto più, come abbiamo visto, di un semplice “presepe vivente” che ha saputo coinvolgere tanta gente: cosa tutt’altro che scontata per un borgo di circa 900 abitanti.

Proprio da un punto di vista pastorale, si deve soprattutto segnalare la sapiente omelia dettata dal Parroco, Don Valerio, nel corso della Santa Messa della Notte di Natale, seguita ai “quadri” animati della Natività.

Con questa abbiamo creduto bene aprire il filmato, che si sviluppa in oltre mezz’ora, lasciando poi la scena ai protagonisti.

Buona lettura e buona visione e, naturalmente, buon Natale a tutti.