Renato Ratti, maestro enologo, scrittore e storico, che rivoluzionò la cultura del vino (è considerato il grande innovatore del Barolo) ne ha tessuto le lodi, lasciando scritto: “I viticoltori locali hanno fornito alla vigna la terra e i supporti di appoggio per captare sole e luce, costruendo un vero e grandioso tempio bacchico dalle migliaia di colonne nel quale si muovono con rito regolare i viticoltori-sacerdoti e dal quale il vino di Carema forgia la sua unicità”…

Per non parlare degli elogi dello storico Augusto Cavallari Murat che considerava le topie di Carema “un’opera d’arte stilistica tra il romanico e il gotico… tutti quei pilastrini sui terrazzi pensili sono affini alle logge continue e alle arcatelle cieche delle chiese romanogotiche”…

O delle parole poetiche spese da Mario Soldati, che nel suo trattato “Vino al vino” scrisse: “Carema ha una struttura strana e meravigliosa… colonne in pietra inghirlandate di vigna!”.

In questo periodo estivo i turisti-pellegrini che transitano per Carema rimangono attratti dalla vista di nuovi “pilastrini” in fase di costruzione nella frazione Airale da parte di un abile muratore, ben visibili dalla statale 26.

Questi “pilastrini” in dialetto sono chiamati “pilun”.

Si tratta di colonne troncoconiche in pietra, mattoni e calce con doppia funzione: sorreggere la pergola e immagazzinare il calore del sole, rilasciandolo poi durante la notte (attenuando così l’escursione termica tra notte e giorno).

La vite così, grazie a questa funzione termoregolatrice, è protetta da eccessivi sbalzi di temperatura.

Negli ultimi anni, però, alcuni pilun vengono costruiti con un unico scopo: il decoro, ovvero per la cosiddetta “valorizzazione paesaggistica”.

Ma come nasce un pilun? Prima di tutto occorre selezionare le pietre (un tempo venivano usate quelle in esubero) grezze di cava e, a seconda del pilun che si vuole costruire (murato, gettato o intonacato) si prepara l’impasto (la gettata) con acqua, sabbia e cemento; poi si procede con l’alloggio delle pietre, fissate appunto con la gettata dentro la dima (in dialetto) che sarebbe una specie di cassero.

Raggiunta la cima occorre attendere alcune ore affinché cemento e pietre asciughino bene, poi si continua con il disarmo dell’opera. Se regge, si procede con la rifinitura dei giunti e la pulitura (con metodi tradizionali) delle pietre.

Non deve mancare il tocco finale: sulla sommità del pilun va collocata una pietra (sempre lavorata a mano) a mo’ di cappello o una “coccia” (in dialetto), ovvero una sorta di pietra a due alette che serve appunto per sostenere le travi in legno della pergola. L’arte di costruire i pilun è antica e i muratori caremesi la trasmettono di generazione in generazione… a patto che si trovino ancora giovani appassionati disposti a imparare e soprattutto a rispettare le tradizioni!

Sara Martinetti