Anche a cavallo tra il Natale 2022 e l’Epifania 2023, per il secondo anno consecutivo, le montagne delle valli canavesane che salgono verso il Gran Paradiso hanno costantemente fatto registrare temperature ben al di sopra delle medie stagionali, sia nelle minime che nelle massime, le quali hanno confinato solo negli angoli più ombrosi al di sopra del mille500 metri le residue tracce delle discrete nevicate cadute ad inizio dicembre.

Nevicate che, come peraltro già accaduto nel dicembre 2021, avevano beffardamente fatto sperare in una stagione invernale natalizia finalmente degna della tradizione, ma che sono invece andate a cozzare contro il muro dell’anticiclone africano che le ha annientate senza alcuna pietà, regalando sole a piene mani in montagna e nebbie in pianura, a volte in risalita lungo i pendii alpini, senza riuscire così a disinnescare una siccità persistente che ormai, in quest’angolo del Piemonte nord occidentale, perdura da oltre un anno.

E così le stazioni sciistiche delle valli, da Piamprato in alta valle Soana fino a Ceresole Reale in valle Orco, dopo una timida seppur speranzosa apertura nei giorni prima di Natale, hanno dovuto repentinamente richiudere i battenti perché le piste di discesa e di sci di fondo si sono liquefatte in pochi giorni, mentre le temperature troppo alte per la stagione impedivano di fatto anche di “sparare” neve artificiale per sopperire alla mancanza di quella caduta dal cielo.

Discorso a parte per la Cialma di Locana, dove proprio nel periodo natalizio erano in programma sia il collaudo che l’inaugurazione della nuova seggiovia biposto Carello-Alpe Cialma, per la quale il Comune della valle dell’Orco aveva a suo tempo sottoscritto un “accordo di programma” con la Regione Piemonte per il finanziamento dell’opera dell’importo di circa 2 milioni di euro: anche qui, in attesa che si potesse dare il via ai nuovi impianti, ad aprire era stato solo il “tapis-roulant” per i più piccoli, anch’esso poi stoppato dall’assenza di un sufficiente manto nevoso.

E non basteranno certo le deboli precipitazioni di domenica scorsa 8 gennaio, peraltro piovose fino a ben oltre i mille metri, a disinnescare una situazione complessiva di cambiamento climatico che si fa sempre più incerta e preoccupante per il futuro dello sci alpino, almeno al di sotto di una certa quota altimetrica.

Una quota che però, di anno in anno tende sempre più ad innalzarsi insieme alla linea delle foreste alpine fin verso i 2 mila metri, tanto da relegare nell’oblio di sbiaditi ricordi i tempi, per la verità neppure troppo lontani, in cui nei mesi invernali si sciava senza grossi problemi anche ai mille metri scarsi di Alpette e Frassinetto.

Forse, come suggeriscono da tempo molti attenti osservatori della realtà alpina, è necessario pensare al più presto a nuove forme di fruizione e di sviluppo delle nostre montagne, che sappiano coniugare il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente naturale con la sua frequentazione in ogni periodo dell’anno.

Anche perché oggi alle nostre montagne, che ai tempi della civiltà alpina erano la patria dei cento mestieri diversi per sopravvivere, oltre al turismo estivo spesso “mordi e fuggi” ed a quello invernale legato allo sci c’è rimasto ben poco altro: ma con inverni che diventano autunni infiniti, nelle molte realtà ancora legate più o meno direttamente alle sorti della monocoltura della neve, è infatti ormai evidente che quest’ultima non basterà più a tenere in piedi le varie attività economiche che nelle valli vivono grazie all’afflusso dei turisti.

Marino Pasqualone

 

Redazione Web