(Susanna Porrino)

La censura esiste ancora? Me lo sono domandata più volte in questi mesi, guardando non tanto ai contenuti, quanto alla violenza con cui si cerca di mettere a tacere chi presenti dubbi o esitazioni sui temi più caldi: la fiducia incondizionata in un vaccino per certi versi ancora sperimentale, la possibilità di adozione e matrimonio per coppie omosessuali, il diritto di accedere ad una terapia ormonale già in giovane età… È censura schermare e far sparire dietro l’accusa di ignorante o bigotto chi non condivide uno o più valori di cui la cultura dominante si fa oggi portatrice?

È censura eliminare ciò che può destabilizzare il funzionamento regolare e appropriato della società, o significa semplicemente preservarne l’efficacia? Socrate, pur vivendo nella democraticissima e avanzatissima Atene, venne arrestato e condannato a morte dietro l’accusa di ateismo e corruzione dei giovani. Un affronto agli occhi di chi oggi studia e conosce l’operato di Socrate, ma un’azione assolutamente legittimabile per gli antichi. Era censura?

In una prospettiva più ampia se lo sarebbe domandato anche Sofocle, e i mille altri dopo di lui che ne ripresero le tragedie, nella sua Antigone, un’opera incentrata sul conflitto tra legge divina e legge umana, che vede contrapporsi chi difende valori considerati naturali e universali e chi guarda alle necessità pratiche della società. Alla morte di due fratelli di stirpe reale, uccisi l’uno per mano dell’altro nella contesa per il trono, il loro successore stabilirà la sepoltura di colui che deteneva il potere al momento della battaglia e proibirà quella di colui che, attaccando il fratello, aveva invaso la città mettendola in pericolo: censura, crudele e spietata, anche questa, inammissibile di fronte ad una legge divina che imponeva l’onore ai defunti, ma giusta e necessaria in una realtà umana che vedeva il suo nucleo essenziale nell’equilibrio e nell’ordine della pólis.

Il bisogno delle istituzioni di guidare e indirizzare il pensiero collettivo, dunque, non è un’invenzione dei moderni; così come i social altro non sono che uno strumento con cui ciò avviene, assolvendo in sostanza alla stessa funzione a cui presso i greci assolveva il teatro, presso le popolazioni medievali la Chiesa, presso le generazioni del secondo Novecento e dei primi anni 2000 la televisione e i giornali.

Certo una società ha bisogno di un quadro di valori chiaro e definito per sentirsi tale; nello stesso modo in cui i greci non avevano esitato a condannare a morte chi sembrava incoraggiare l’ateismo, perché turbava nel profondo ciò che dava un senso e una risposta all’esistenza degli uomini, così oggi non esitiamo a condannare chi rigetti sotto un qualunque aspetto la scienza o la tolleranza indiscriminata.

Ma possediamo strumenti che gli antichi prima di noi non possedevano; sappiamo che non è necessario parlare all’orgoglio di chi non può comprendere perché non conosce, ma alla sua paura, e guidarlo alla verità, quando essa esiste, o ad un rispettoso confronto, quando le idee, per quanto lontane dal pensiero dominante, abbiano una propria base equilibrata e razionale.

La storia ci ha insegnato che il pensiero cresce ed evolve se accompagnato e guidato nel suo sviluppo, non se troncato con violenza, e che se aggrapparsi con violenza ad un principio contribuirà ad uno sviluppo immediato nella pratica, lo stesso non avverrà nella cultura. Le suffragette hanno lottato con forza per ottenere diritti concreti, ma la mentalità collettiva ha richiesto un tempo e un percorso per cambiare molto più lunghi e graduali; e per quanto importante sia stata la loro spinta iniziale, altrettanto importante è stato trasformare l’immagine di quella che dall’esterno appariva come un’insensata sete di potere in una razionale e legittima richiesta di riconoscimenti.

Può esistere dibattito là dove i temi trattati sono percepiti come taboo da distruggere, o verità inconfutabili? Sì, non tanto con i contenuti, ma con l’intera dimensione delle emozioni, dei valori, dell’educazione e delle esperienze in cui essi si collocano.

Sarebbe forse bello imparare a guardare al mondo con la stessa malinconica lucidità con cui vi guardava Sofocle, accorgendosi che troppo spesso non esistono verità inconfutabili, ma uomini e donne disposti a vivere e morire per le proprie idee, ognuno chiuso nella sfera impenetrabile della propria paura e della propria ragione: la scienza, la filosofia, la psicologia umana non possono dunque essere mondi astratti che scrutano con aria di superiorità il resto della popolazione, ma strumenti disposti a mettersi a disposizione dell’uomo per lasciarsi comprendere ed esplorare, anche attraverso dubbi e incertezze.