“Se uno vuol essere il primo, sia il servitore di tutti”

(Elisa Moro)

“Il Figlio dell’uomo viene consegnato… Se uno vuol essere il primo, sia il servitore di tutti” (Mc. 9, 31. 35). Per la seconda volta il Signore Gesù annuncia ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione (Mc. 9, 30-37). Sembra quasi, con delicatezza pedagogica, voler preparare gli apostoli a questo evento di cui saranno partecipi e testimoni, consapevole che il preavviso può attenuare la drammaticità o, usando le parole di Dante: “saetta prevista vien più lenta” (Paradiso 17, 27).

“Essi però non comprendevano queste parole… Per la via avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande” (v. 32. 34): l’irricevibilità di un annuncio così tragico non coinvolge più soltanto, come la scorsa domenica, Pietro, ma l’intero gruppo degli Apostoli, che appaiono smarriti. È “l’amore verso il Salvatore a spingere questi uomini a inorridire all’idea della sua morte, tentando di dare un significato figurato anche a quanto egli diceva” (Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 3, 9, 28).

Un amore terreno, che tuttavia non permette la pienezza della libertà, dell’ascolto della Parola, ma imprigiona in dinamiche di potere umane e nell’invidia altrui, sempre presenti in ogni epoca e contesto, che non permettono lo slancio della totale donazione di sé. Cristo inverte la logica – essere servi è il vero primato dell’amore – per riportare alla bellezza originaria l’uomo, per recidere dal suo cuore quel male, l’invidia del successo mondano, che “non ha termine, è sempre vivo e senza fine, fino ad ardere sempre in un fuoco di gelosia” (Cipriano da Cartagine, De zelo et livore, 6).
“Preso un bambino lo pose in mezzo a loro” (v. 36): un’immagine ricorrente dei Vangeli, quella del Signore che indica come modello un bambino. Ricorda Clemente di Alessandria, a scanso di equivoci, che il “puer”, il bambino evangelico, non è certamente in riferimento all’età o a comportamenti tipicamente puerili: “noi non siamo più dei bambini che camminano carponi… Sono davvero dei bambini coloro che riconoscono Dio come unico Padre” (Paedagogus, V, 16, 1).

Riconoscersi figli nel Figlio, identificarsi nella semplicità di chi si riconosce amato e voluto da un Padre; solo così “noi possiamo, per così dire, ‘rinascere’. Nessuno si fa uomo da sé; lo stesso è anche dell’essere cristiani: nessuno può farsi cristiano solo dalla propria volontà, anche essere cristiano è un dono che precede: dobbiamo essere rinati in una nuova continua nascita” (Benedetto XVI, 08/01/2012).

(Mc 9,30-37) In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».