(Elisa Moro)

“Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco” (San Gregorio Magno, Om 14, 3-6). La quarta domenica di Pasqua, conosciuta come la “domenica del Buon Pastore”, contiene, in tutti i cicli liturgici, un brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni (Gv. 10, 1-10). L’immagine del “buon (bel) pastore” è tra le più care alla tradizione cristiana, fino a ritrovarla negli affreschi delle catacombe; Cristo è il pastore che afferma: “io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e le farò riposare” (Ez 34, 11-14).

“Chi… sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore” (v. 1-2): il Pastore, quello autentico, ha un rapporto unico con le sue pecore, le conosce, fino ad affermare, “ti ho chiamato per nome: sei mio!” (Is. 43,1). In questi primi due versetti l’attenzione, però, è posta al verbo “salire” – “anabinei” – che evoca l’immagine di “qualcuno che si arrampica sul recinto per giungere là dove legittimamente non potrebbe arrivare” (Benedetto XVI, 7/05/2006).

Salire, in questo caso, può diventare sinonimo di servirsi per ascendere e non per servire, in una personale esaltazione, che pone in secondo piano l’umile servizio richiesto da Cristo.

Il vero pastore “offre” la sua esistenza (v.11), dimostrando che non è il potere a redimere, ma l’amore, nel mistero della Croce, vera porta della salvezza: “per mezzo della croce noi, pecorelle, siamo stati radunati in un unico ovile” (Abate Teodoro, n° 99).

“Io sono la porta delle pecore” (v. 7): Cristo non è soltanto la guida delle pecore, ma la via d’accesso. I Padri della Chiesa hanno sottolineato l’aspetto futuro di questa immagine, evidenziando come “per quella porta entriamo nella vita eterna” (Sant’Agostino, Enarr. In Ps. CIII). La “porta delle pecore” è, tuttavia, anche la prima delle porte del Tempio di Gerusalemme ad essere stata ricostruita e consacrata dopo l’esilio di Babilonia (Neemia 3, 1). Cristo si presenta come il “nuovo Tempio”, non costruito con mani d’uomo, che non conosce confini di spazio e di tempo.

La porta, sempre aperta, di Cristo permette di entrare, ma al contempo di uscire, verso la missione, nell’annuncio dei “veri pascoli” che ristorano: “questo mandato abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli… Nulla di quanto è umano può essergli estraneo” (Evangelii Gaudium, 181).

 

Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».