(f.z.) A partire dal momento in cui l’essere umano ha lasciato traccia scritta del suo passaggio in questo mondo, si sono costruite e scontrate due concezioni opposte della Storia: una, legge il presente come inferiore al passato e superiore al futuro, in una sorta di piano inclinato di cui è impossibile risalire la china; l’altra, al contrario, vede il presente superiore al passato, ma destinato ad essere sorpassato da un futuro migliore.

Un esempio del primo caso viene dal mondo classico pagano e consiste nel mito dell’età dell’oro, che ha le sue migliori espressioni ne “Le opere e i giorni” di Esiodo e nelle “Metamorfosi” di Ovidio: “Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo, sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat” (Prima a fiorire è l’età dell’oro, che senza leggi e senza tutori coltivava spontaneamente giustizia e lealtà). Un’era di pace, di frutti abbondanti, d’amore e d’amicizia, senza fatiche e dolori. Una storia così attraente da essere ripresa nel Rinascimento, con Jacopo Sannazzaro che nella sua “Arcadia” esalta un ormai ineguagliabile

passato e il signore di Firenze Lorenzo de’ Medici che invita a godere del presente, poiché “di doman non c’è certezza”.

La seconda concezione appartiene soprattutto alla tradizione profetica del mondo giudaico ed è pienamente espressa nella Prima Lettura di questa domenica: Isaia porta a desiderare l’avvento messianico, poiché in quel giorno, quando il germoglio sarà spuntato dal tronco di Iesse, giungeranno pace, armonia e giustizia e la conoscenza del Signore riempirà la Terra. Giovanni si colloca al culmine di questa attesa: nella sua condizione di Battista e Precursore, comunica che il regno dei cieli, il “futuro ideale” tanto atteso, è ormai vicino.

Ma solo in Gesù Cristo le due opposte visioni della Storia si conciliano: non c’è più un mitico passato da rimpiangere né un vago futuro da attendere, poiché è nel presente, battezzati “in Spirito Santo e fuoco”, che possiamo vivere la migliore età su questa Terra.

 

 

(Mt 3,1-12)

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».