La morte di Sergio Marchionne, avvenuta ieri a Zurigo per un tumore ai polmoni, non è passata sotto silenzio, né tra i detrattori né tra gli ammiratori. Troppo grande l’uomo – da qualunque parte si guardi il suo operato (anche quello che non piace) – e troppo grande l’impero che ha amministrato per anni. Per questo il nostro Mario Berardi, nel suo commento a pagina 2, analizza le due facce della stessa medaglia che Marchionne rappresenta. Luci e ombre che non mancano mai in chi si assume responsabilità di quella portata e deve fare i conti con gli azionisti che chiedono risultati e profitti e i lavoratori che chiedono più tutele e garanzie del posto di lavoro e del salario.

E’ stato curioso ritrovare nell’archivio del nostro giornale un pezzo di Mario Berardi che titolava “Il Ministro e Marchionne”. Era la rubrica “in punta di penna” del 6 settembre 2012. Oltre a constatare la coerenza di pensiero del nostro giornale – attraverso la penna dei suoi opinionisti e giornalisti – tra allora e oggi, si può vedere anche come certe situazioni e dinamiche si ritrovino nel tempo, come certi problemi si ripresentino, così come certe preoccupazioni che si snocciolano anno dopo anno.

Cosa scriveva Mario Berardi in quell’inizio di settembre del 2012 quando a Capo del Governo c’era Monti, al Ministero del Lavoro c’era la Fornero, Marchionne guidava la FIAT già con qualche idea sulla disfatta dell’italianità della fabbrica e i conti presentavano qualche criticità, così come stava diventando critica la vita di molti italiani chiamati a sacrifici importanti? Ecco il testo di Berardi.

“Da settimane il ministro del Lavoro Elsa Fornero preannuncia un incontro con il numero uno della Fiat, Sergio Marchionne, per discutere la difficile situazione del Gruppo, con il blocco degli investimenti del “Progetto Italia”, Mirafiori compresa, e il boom della cassa-integrazione. Finalmente il numero uno del Lingotto ha risposto (parlando con i giornalisti): “eventualmente sì”. Non posso nascondere la delusione (giustificata) dei lavoratori Fiat per questo “eventualmente” e per l’assenza di reazione da parte del Governo. In questi mesi, per evitare la bancarotta dello Stato, Monti ha imposto duri sacrifici ai cittadini, con la riforma delle pensioni (varata in pochi giorni), l’introduzione dell’Imu, i tagli agli enti locali… Con dolorosi sacrifici e comprensibili proteste i cittadini hanno accettato le nuove misure, sostenendo Monti nella difficile trattativa con Bruxelles, Berlino, Parigi, consapevoli che la bancarotta del Paese avrebbe travolto tutti, a cominciare dai ceti popolari (chi avrebbe pagato le pensioni, i servizi pubblici, le forze dell’ordine…?)” Prosegue l’intervento di Berardi su Il Risveglio del 6 settembre 2012: “Questo senso dello Stato non può mancare al vertice Fiat e il Ministro (che rappresenta tutti noi) non può essere messo…in cassa-integrazione. Il presidente Monti, che ha dimostrato nelle capitali europee forza, intelligenza e dignità, deve ottenere dalla Fiat una risposta rapida, perché il Lingotto non è “uno stato nello Stato”. In questo compito gli può essere di sostegno la Dottrina Sociale della Chiesa, opportunamente richiamata nell’omelia dell’Assunta dall’arcivescovo di Torino, monsignor Nosiglia, in una linea d’impegno per la giustizia che va dal cardinal Pellegrino al cardinal Poletto, passando per il promotore delle Settimane sociali dei cattolici, monsignor Miglio. Il presidente dei Vescovi piemontesi ha ricordato il dovere di solidarietà di tutti i protagonisti della vita sociale, compresa la Fiat e la Famiglia Agnelli, che tanto hanno ricevuto, in oltre cent’anni, dallo Stato, dagli Enti locali, dai lavoratori. Il laico Pietro Nenni direbbe: “lo Stato non può essere forte con i deboli e debole con i forti”.