Le immagini da Gaza, dopo l’attacco alla parrocchia della Sacra Famiglia che ha causato tre morti e numerosi feriti, ma soprattutto le foto di don Gabriel Romanelli ferito e sanguinante, mi hanno ricordato un episodio vissuto all’inizio della mia esperienza in Uganda.

Dopo la dittatura di Amin e l’elezione del presidente Obote tra violenze e brogli, alla fine del 1980 Yoweri Museveni iniziò la guerriglia nella zona della città di Luweero. Fu una lunga marcia, durata sei anni, per raggiungere il potere che detiene ancor oggi!

La parrocchia di Kasaala, dove svolgevano il loro servizio i padri comboniani Fulvio Cristoforetti e Guglielmo Maffeis, si trovava in una zona a rischio attentati. Il 28 settembre 1983 in una imboscata padre Fulvio venne colpito da più pallottole, alle gambe, al cuoio capelluto, ad un braccio e alla schiena. Quando i combattenti che avevano crivellato l’auto uscirono allo scoperto gli dissero: “Scusa Padre, non volevamo ammazzare te!”.

Padre Fulvio, mezzo morto, fu soccorso e portato dopo un sofferto viaggio di oltre 70 Km alla parrocchia di Mbuya a Kampala. Mi trovavo lì quando arrivò l’auto che lo trasportava. La commozione e l’agitazione erano enormi: il padre era immerso nel suo sangue e fu subito portato all’ospedale, per le necessarie trasfusioni. Moltissimi si presentarono per donare all’amato missionario il loro sangue. Così molti giovani mescolarono il loro sangue a quello di Fulvio. Gli salvarono la vita, ma gli trasmisero anche il virus dell’AIDS che lo accompagnò per molti e sofferti anni.

Da allora non fu più padre Cristoforetti, ma Padre “Cristo forato”, per le tante pallottole che gli avevano straziato le carni.

Dio fatto uomo, Gesù è entrato nel mondo per cambiarlo, ma in un modo strano. A Gesù interessa ogni singola persona e la Sua vita è stata donata sin dall’inizio della sua missione per ciascuno di noi. Il prete, a imitazione di Cristo, dona la sua vita ad ogni persona che incontra e al popolo dove è inviato.

Quando si ama qualcuno non lo si abbandona nel momento della prova: è il miracolo quotidiano dell’amicizia e della fraternità”. La vita di Fulvio non gli apparteneva più, era del popolo ugandese, come quella di don Gabriel appartiene alla Palestina. Nessuno può portare via una vita già donata.