A Rivarolo, in Viale Flavio Berone all’altezza del civico 12 vi è una targa di marmo murata ed incisa che recita: “All’esploratore polare Ammiraglio Adalberto Mariano, nato in questa casa il 6 giugno 1898 che in Rivarolo Canavese attinse fede – senso del dovere – amore della patria, la città ed i Marinai d’Italia in memoria posero. 10 giugno 1988”.

Nacque da Giuseppe, ufficiale della regia Marina e da Giovanna Vallosio, proveniente da una nota famiglia di Rivarolo. Dal settembre 1911 fu allievo della Regia Accademia navale di Livorno e ne uscì come guardiamarina nel giugno 1915. Con la Prima guerra mondiale fu imbarcato dapprima sulle corazzate “Cavour” e “Dante” e promosso sottotenente di vascello il 16 agosto dello stesso anno. Attratto dal volo, ottenne poi il brevetto di pilota e prestò servizio sui dirigibili, inizialmente come ufficiale di bordo e in seguito come ufficiale in seconda. Ma fu presto esonerato dal servizio aeronautico per motivi disciplinari, a causa delle sue lamentele per la scarsa attività svolta dall’aeronave su cui era stato assegnato. Allontanato da quel servizio, fu promosso tenente di vascello il 10 febbraio 1918. Fu imbarcato sulla corazzata “Duilio” e poi in aprile, sul sommergibile di costruzione canadese “H2” in servizio nel basso Mar Adriatico, dapprima come ufficiale di rotta e poi come comandante in seconda.

Dopo la guerra fu sull’esploratore “Nibbio” e, dopo un breve ritorno sui dirigibili, frequentò nel 1920 il corso superiore dell’Accademia terminando l’anno con l’imbarco sull’incrociatore “Ferruccio”. Nel 1921 fu ufficiale istruttore aggregato presso il tribunale militare marittimo di La Spezia.

Poi seguì un periodo in cui ebbe l’opportunità di frequentare il duca di Spoleto: dal 22 settembre 1921 al 23 ottobre 1925 fu ufficiale di ordinanza del principe Aimone di Savoia-Aosta duca di Spoleto, che accompagnò anche nel corso di un lungo soggiorno in Estremo Oriente. In Cina, al termine del periodo di servizio presso il duca, tenne per sei mesi il comando della cannoniera fluviale “Carlotto”, stazionaria italiana sullo Yang-tze kiang (Fiume Azzurro). Tornato in Italia frequentò la Scuola di comando navale a Taranto, ottenendo all’esame finale il punteggio massimo e così gli fu assegnato il comando della torpediniera “41 PN” fino all’aprile 1927, quando, promosso capitano di corvetta, passò a bordo della corazzata “Cavour” come segretario dell’ammiraglio.

Nel 1928, anche per la sua esperienza di navigazione aerea, fu scelto a far parte della spedizione del generale Umberto Nobile al polo Nord con il dirigibile “Italia” con le mansioni di comandante in seconda.

Erano partiti in 16: il generale Umberto Nobile, il capitano di corvetta Adalberto Mariano, il capitano di corvetta Filippo Zappi, il tenente di vascello Alfredo Viglieri, il sottotenente Ettore Arduino, il maresciallo motorista Attilio Caratti, il marconista Giuseppe Biagi. Il personale civile dello Stabilimento Costruzioni Aero-nautiche di Roma era formato da: Felice Trojani, ingegnere progettista e timoniere, Natale Cecioni capotecnico, Vincenzo Pomella capo operaio motorista, Renato Alessandrini attezzatore timoniere e Calisto Ciocca motorista. Il personale scientifico era composto da: František Běhounek, fisico, direttore dell’Isti-tuto Radio di Praga, Finn Malmgren, meteorologo, geofisico e docente presso l’Università di Uppsala, Aldo Pontremoli, ordinario di fisica sperimentale e teorica dell’Università di Milano. Ci fu anche il giornalista del “Popolo d’Italia” Ugo Lago.

L’“Italia”raggiunse il Polo Nord venti minuti dopo la mezzanotte del 24 maggio 1928 ma le condizioni meteorologiche avverse non consentirono di ancorare il dirigibile al pack per effettuare lo sbarco. Furono lasciate cadere una bandiera italiana e la croce donata dal papa Pio XI e due ore dopo iniziò il viaggio di ritorno. Alle ore 10.33 del 25 maggio la tragedia: l’aeronave divenne incontrollabile e precipitò abbattendosi sulla banchisa, lasciandovi cadere parte del carico e dell’equipaggio. Nell’urto si era staccata la navicella ventrale e l’involucro così alleggerito, riprese subito quota e fu trascinato dal vento, verso l’ignoto con 6 uomini: Pontremoli, Lago, Arduino, Caratti, Ciocca, Alessandrini, dei quali ancora oggi non si sa nulla.

Raccolto fra i ghiacci quanto poteva essere utile, tra l’altro circa 90 kg di provviste, i superstiti si sistemarono alla meglio nella “tenda rossa” destinata a passare alla storia. Con una radio sommariamente riparata da Biagi, furono inviate richieste di aiuto. Sulla desolata distesa di ghiaccio si ritrovarono Nobile, Cecioni, Mariano, Zappi, Viglieri, Malmgren, Behounek, Trojani, Biagi; i primi due feriti piuttosto seriamente. Pomella era rimasto ucciso nello schianto.

Iniziarono un’attesa angosciante. La comparsa di un orso, ucciso a colpi di pistola, risollevò un po’ il morale per il cibo. Dopo alcuni giorni di inutile attesa, il 30 maggio, Adalberto Mariano, con il collega Filippo Zappi e con lo scienziato svedese Finn Malmgren, si misero in marcia per raggiungere l’isola di Foyn e di là chiedere soccorso. Iniziava la deriva dei ghiacci e dalla radio non giungevano segnali dai soccorritori. Le speranze di salvezza erano poche per tutti.

Il 3 giugno il debole segnale radio proveniente dal pack fu raccolto da un radioamatore russo. Governi e privati si mobilitarono in Italia, Norvegia, Russia, Svezia, in una stupenda gara di generosità. Finalmente, il 20 giugno un aereo arrivato dall’Italia e pilotato da Umberto Maddalena avvistò la Tenda Rossa e lanciò i primi rifornimenti. Poi, l’aviatore svedese Lundborg, il cui velivolo era fornito di pattini, con un’ardita manovra riuscì ad atterrare sulla distesa di ghiaccio e portò in salvo Nobile e la cagnolina Titina: era il 24 giugno.

Tra i valorosi impegnatisi nelle ricerche dei naufraghi italiani c’era anche il grande esploratore Roald Amundsen che scomparve col suo aereo nella distesa artica. Fu l’intervento del rompighiaccio sovietico Krassin a salvare i superstiti: il 12 luglio rintracciò Mariano e Zappi, ancora vivi dopo 44 giorni. La stessa nave salvò i superstiti della Tenda Rossa. Il terzetto, che aveva tentato inutilmente di raggiungere la terra ferma, soffrì una serie di terribili vicissitudini: Malmgren, il più esperto del gruppo, cominciò presto a perdere la lucidità mentale. Mariano, senza occhialini da sole, fu colto da un’oftalmia da neve che lo rese temporaneamente cieco, con il tormento del prurito, gli legarono le mani dietro la schiena.

Dopo molti giorni di inutile girovagare tra i ghiacci Malmgren, stremato e disperato, si rifiutò di proseguire chiedendo ai compagni che lo lasciassero morire. Il distacco fu terribile e tragica sorte pareva dover toccare più tardi anche a Mariano che ormai delirava per una febbre violenta e, sentendo prossima la fine, autorizzò Zappi a disporre del suo cadavere per tentare, almeno lui, di sopravvivere. Ciò fece nascere la diceria che un’orrenda pratica di cannibalismo fosse avvenuta sul corpo di Malmgren mai ritrovato.

Quando arrivarono i soccorritori sovietici, Mariano era in pericolo di vita. Fu necessario amputare un piede ormai in necrosi e in ospedale a Stoccolma ricevette la commovente visita della madre di Malmgren. La sua carriera in Italia proseguì come prefetto in diverse città e uno dei suoi figli lo volle chiamare Finn, a ricordo della tragica esperienza.

Morì a Roma il 27 ottobre 1972.