La 55a marcia della pace di Capodanno si è tenuta in Puglia, ad Altamura, diocesi unita anni fa a quelle di Gravina e Acquaviva delle Fonti e oggi retta da monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente, ancora per poco, di Pax Christi Italia.

A causa della ripresa televisiva da parte di TV2000 l’inizio della marcia è stato anticipato alle 15,45 con l’incontro di una delegazione dei partecipanti con i carcerati della casa circondariale di Altamura. La marcia è poi proseguita con altre tre tappe in due chiese parrocchiali e nel teatro comunale, e in ogni tappa si sono sentite testimonianze che riguardavano problematiche attuali e locali: la gestione della pandemia e la salute pubblica del mondo, le attività di una cooperativa sociale che coinvolge e unisce persone di ogni tipo, il problema delle obiezioni di coscienza, infine il progetto di un forno sociale comune.

Nella tappa al teatro comunale si è avuto modo di sentire i racconti di obiettori ucraini, russi e palestinesi.

La Messa è stata concelebrata da vari vescovi fra cui, oltre a monsignor Ricchiuti, il vescovo di Savona – dove lo scorso anno si era celebrata solo la Messa della pace – e il nostro monsignor Bettazzi che alla fine ha sottolineato aspetti legati alle difficoltà odierne di “essere nella pace” ed è stato salutato da un lungo applauso.

Durante la mattinata precedente la marcia, e nel pomeriggio del 30 dicembre, Pax Christi Italia aveva tenuto a Gravina, alla Fondazione Benedetto XIII, il suo convegno nazionale di fine anno che invitava a riflettere sul tema “Obiezione di coscienza, ieri, oggi, domani. Un dovere cristiano, una conversione per tutti”.

La prima parte ha visto una interessante relazione di Marco Labbate, dell’Università di Urbino, che ha ripercorso brevemente le vicende che hanno portato alla legge 772 di 50 anni fa.

Ascoltando questa storia ci siamo resi conto del ruolo fondamentale avuto da Pax Christi nel perorare la legge e nel sostenere i primi obiettori di coscienza: ed è stato ricordato che la diocesi di Ivrea fu la prima ad accogliere degli obiettori, alla Casa dell’Ospitalità; per questo all’intervento del professor Labbate hanno fatto seguito le testimonianze di monsignor Bettazzi e Giuliana Bonino.

Ha quindi relazionato Zaira Zafarana, rappresentante di Ifor (Movimento internazionale di riconciliazione) presso l’Onu.

Zaira ha soprattutto sottolineato come l’obiezione di coscienza sia “un diritto umano riconosciuto, inerente al diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione” che purtroppo, ad esempio nel caso di guerre, può essere sospeso (caso attuale dell’Ucraina, che però lo accettava solo per motivazioni religiose).

E in merito alle difficoltà dell’Onu, non ha potuto ignorarle ricordando comunque che per arrivare a una decisione comune occorre discutere assieme, e questo può essere di grande insegnamento per tutti.

La mattina del 31 ha visto l’intervento di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. Dopo aver presentato la vita di don Primo Mazzolari, insistendo sul cambiamento di pensiero del sacerdote cremonese sul tema della guerra, ha sottolineato tre aspetti attualissimi che possono emergere dalla sua vita: “la formazione delle coscienze, il primato della persona e la necessità di un cristianesimo incarnato che sappia discernere la storia”.

In seguito don Renato Sacco di Pax Christi ha ricordato alcune iniziative del movimento e la necessità di rilanciare gli impegni fra cui quello dell’opposizione alla presenza di armi nucleari in Italia. Terminate le relazioni, sono stati visitati i resti del “Campo 65”, costruito fra le città di Altamura e Gravina nel 1942 per prigionieri di guerra alleati e che poteva contenere sino a 12 mila persone.

Se durante la marcia ci si è fermati a riflettere più su esperienze locali, durante il convegno il discorso si è allargato a tematiche universali quali l’obiezione di coscienza.

In passato questa era rivolta soprattutto al servizio militare, e ora che questo non è più obbligatorio, e che col servizio civile vi sono altre possibilità di impegnarsi per la società, si potrebbe pensare che l’obiezione sia inutile.

Occorre invece rivalutarla e indirizzarla verso altri obiettivi quali, in particolare, le spese per gli armamenti.

Occorre ricordare che l’obiezione di coscienza deve nascere non da un semplice “no”, ma da una convinzione motivata da scelte di pensiero e religione che costituiscono la base dell’agire dell’obiettore.

E deve far riflettere noi cattolici il fatto che dal 1945 al 1972, ossia prima dell’approvazione della legge 772, in Italia vi furono 706 obiettori, dei quali 622 Testimoni di Geova.

Allora non si può fare a meno di ricordare le parole di Gesù: “la messe è tanta ma gli operai sono pochi”.

L’impegno di tutti a lavorare per la pace diventa perciò obbligo di coscienza, se vogliamo tradurre in pratica il Vangelo.

g.g

Redazione Web