PROSEGUE IL RESOCONTO DI VIAGGIO DEI TRE SALESIANI DEL CAGLIERO

(Settima puntata)

Verso Genova…

Domenica 25 Agosto 1935, Levata alle 5 e un quarto, quando la Crocetta è ancora tutta immersa nel sonno. Ce ne andiamo a Maria Ausiliatrice per le divozioni e la Santa Comunione, e precisamente nelle camerette di Don Bosco, all’altare famoso dell’estasi del nostro buon padre Don Bosco. Viene consegnato il Crocifisso ad alcuni nostri compagni di viaggio, che ne mancano; e dopo colazione via col tram a Porta Nuova. Qui abbiamo il bene di rivedere un’altra volta il babbo del Signor Don Meliga ed il fratello Carlo (questi, da bravo soldato d’Italia, ha per noi parole d’augurio e d’incitamento veramente nobili), e soprattutto rivediamo l’amato Signor Ispettore, il quale ci dà una bella torta ed una bottiglia di quello che “büscia”.

Salutiamo gli uni e gli altri; così pure i compagni Americani… Un fischio; e noi verso Genova. Passiamo Asti, Alessandria e Novi (in questo tratto il nostro compagno Comandù, di Penango, ha modo di veder il cappello volar dal finestrino) e arriviamo a Genova verso mezzogiorno. Comandù, Colombo e Lupi con Uboldi hanno la fortuna di trovare ancora una volta i propri parenti, e dopo d’aver preso possesso delle rispettive cabine, s’intrattengono con loro fino all’ora della partenza, le tre pomeridiane.

A quest’ora il Signor Aprili, che al nostro primo arrivo ci guidò alle cabine, sollecita il nostro distacco dai parenti: e allora… un’ultima parolina dalla, e per la mamma, un bacio… ed eccoci già sul bastimento, il bel “Victoria” che vedemmo ancorato alla stazione marittina. Passiamo gli ultimi istanti di attesa, ecco che risuona il terzo segnale della sirena; la nave si distacca dalla banchina. Tosto un vociare più grande dall’una parte e dall’altra, cioè da parte della folla che gremisce la banchina nonché degli stessi passeggeri del “Victoria”: bisogna provarlo almeno una volta questo istante per comprenderne tutta la portata. Il volto dei nostri cari, poco fa ancora visibili, ormai si confonde nella massa; poi anche questa s’allontana finché ci troviamo già in alto mare.
Alcuni motoscafi che seguivano la nave sono ritornati indietro.

Tra qualche istante perderemo di vista completamente Genova, che ancora ci appare come in lontana visione. Notate, cari compagni, che abbiamo perfino un po’ di burrasca, e pioggia: niente di più adatto per accrescere il senso di questa nostra grande partenza, di questo nostro distacco.

Quando ci avvediamo che la terra non è più visibile, che siamo ormai tra cielo e acqua, intoniamo l’Ave Maria Stella, di cui gustiamo più che mai il senso di ciascuna parola… Dopo qualche istante di esitazione, già subito a scrivere le prime cartoline da parte d’alcuni, altri poi vanno a visitare la nave.

Poco dopo prendiamo il primo “tea”; poi si passeggia, si canta, si suona fino all’ora di cena. A tavola siamo davvero un po’ confusi di trovarci serviti da tanti camerieri gentilissimi, e con cibi davvero squisiti; ma alle cose belle e buone ci si abitua subito, cosa volete? Dopo cena andiamo sul ponte di seconda e ci raccogliamo con altri Religiosi che si trovano a bordo. Facciamo più vicina conoscenza col Signor Don Villa delle Missioni Estere di Milano, il quale lascia i più cordiali saluti al suo amicone Bolis, il terribile, quasi tragico attore (Bolis, ci sei? O sei andato in Abissinia?). Facciamo un po’ di allegria, poi si va a letto.

A Napoli

Lunedì, 20 (26) Agosto 1935

Colombo, contento come una pasqua di trovarsi in mezzo al mare, si alza alle 5 per vedere il sorger del sole, ma questo sorge qualche istante prima che se n’accorga. Allora si ripromette di star meno distratto, accontentandosi di poterlo fare un’altra volta. Verso le 6 ci prepariamo per la Santa Messa, che viene celebrata dal nostro bravo e longanime capo-spedizione, il Signor Don Giovanni Castro. In seguito ne ascoltiamo e ne serviamo altre, celebrate dai Padri di Milano. Alle 8, dopo d’aver avvistato da qualche ora i primi scogli, e le lontane montagne, entriamo nel golfo, e poi nel porto di Napoli. Dopo breve manovra la nave è ancorata.

Non esitiamo a scendere, e andiamo diretti al Collegio Salesiano, dove siamo cortesemente accolti dal Signor Direttore, il quale ci fa restar serviti di un rinfresco. Andiamo poi, dietro suo consiglio, a San Martino, d’onde si gode la vista di un bellissimo, famoso panorama… Ne avevamo bisogno!

Memori del detto “Vedi Napoli, e poi mori” nel nostro andar per le vie non vedevamo alcunché di straordinario, salvo le solite grandi vie ed i grandi palazzi d’ogni città… Ma giunti a “San Martino” è un altro di maniche paio: da questa località si gode la vista di un degno panorama… per figurare il quale bisogna o saper convenientemente descriverlo, o meglio ancora vederlo. Comunque, cari Compagni, per non essere superbi nella nostra incapacità, vi diremo che da San Martino si vede Napoli in tutta la sua immensa distensione: incorniciata in vegetazione felicemente disposta: il suo lato posteriore poi, si perde nell’azzurro del mare e del cielo. Come nuvola in cielo purissimo il pennacchio del lontano e fiammeggiante Vesuvio.

Siamo alla fine contenti del nostro passeggio, ed è tempo di far ritorno alla nave. In questo punto Guerreschi è molto affaccendato per motivo di pellicole, di lastre, di fotografie e, lo sa il cielo cos’altro… insomma è molto in traffico per spendere bene i suoi ultimi soldini! Lupi e Colombo, che lo seguono, e che l’hanno lungamente esortato a non appassionarsi troppo a queste cose mondane, alla fine cedono anche loro alla tentazione delle fotografie, e pensano pure loro di spendere bene quelle che hanno avuto dai loro parenti a Genova.

Difatti, ecco un negozio a proposito; non precisamente di pellicole e di fotografie, ma (scusateci se siamo un po’ prosastici) un negozio di vino. In breve: si compra un fiasco di vino, poi due, poi tre e poi quattro… che possono servire per gli ultimi pasti qui in Italia, o magari anche dopo.

(prosegue sul prossimo numero)