(Michele Curnis)

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 Dante morì a Ravenna, ultimo rifugio di una vita di esilio, di privazioni e soprattutto di allontanamento dalla città in cui era nato nel maggio del 1265, Firenze. Quasi immediatamente dopo la morte iniziò la fortuna di Dante non soltanto come poeta, ma anche come maestro, modello di coerenza e di impegno politico, artista in grado di sintetizzare la storia universale, la cultura antica e l’inquietudine moderna in un poema ambientato nei regni dell’aldilà cristiano. Se il progetto e le idee politiche di Dante risultavano anacronistici o difficilmente realizzabili perfino nella sua epoca, la straordinaria visionarietà della sua opera letteraria continua ad affascinare il mondo contemporaneo con un’impareggiabile ricchezza di intenti etici, letterari, storici e teologici.

Dante è il più grande scrittore e artista europeo di tutto il Medioevo. Grazie alla sua eredità, giunta ormai a celebrare il settimo centenario della morte, è davvero possibile comprendere il rapporto tra la cultura medioevale e lo sviluppo della civiltà europea moderna. Non a caso, con l’oggettività che caratterizza una prospettiva esterna, lo studioso sudcoreano Han Hyeong Kon dichiara che per conoscere e comprendere l’Europa di oggi è necessario leggere la Commedia di Dante.

All’interno del poema la geografia dell’Europa compare in termini abbastanza precisi, anche se quello che importa è il profilo spirituale del continente. È sorprendente lo sforzo di inclusione di elementi distinti nell’idea di civiltà europea: essa non coincide soltanto con la cristianità, perché al suo interno c’è spazio per l’eredità classica, l’impero romano, la dialettica tra oriente greco e occidente latino e la cultura araba; è insomma l’Europa costruita attorno al mar Mediterraneo, che non prescinde da nessuna latitudine geografica e culturale. Nella Commedia convivono infatti Giulio Cesare e Federico II di Svevia, Aristotele e Averroè, Francesco di Assisi e Domenico di Guzmán.

Perché parlare di Dante “in Canavese”? Il poeta non visitò il Piemonte, né sono attestati collegamenti diretti tra la sua biografia e questa terra. Eppure, proprio il Canavese è menzionato nella Commedia, e molte importanti voci canavesane hanno manifestato la loro fedeltà a Dante nel corso del tempo. Esattamente cento anni fa Federigo Ravello pubblicò un saggio dal titolo Dante e il Canavese sul “Bollettino Storico Bibliografico Subalpino” (XXIII 3-6). Oggi l’occasione di un altro centenario e la generosa disponibilità della Direzione del giornale offrono ai lettori del “Risveglio popolare” l’opportunità di ripercorrere i legami tra l’opera di Dante e il Canavese: geografia, cultura materiale del libro manoscritto, ricorrenze liturgiche, scrittori, studiosi e artisti canavesani, edizioni dantesche conservate nelle biblioteche eporediesi … tutto concorre al ricordo del Poeta, della sua tradizione e del suo perenne insegnamento.

A scandire l’opera principale di Dante è uno dei temi più complessi e al tempo stesso più naturali dell’esistenza umana: il viaggio, inteso prima di tutto nell’accezione di movimento che costa fatica e produce stanchezza fisica o sofferenza, ma garantisce sempre arricchimento spirituale. Quello che si svolge nell’arco di pochi giorni all’interno della Commedia è un viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà: inferno, purgatorio e paradiso. Ancora più della singola rappresentazione spaziale, spicca la capacità di porre in successione ambientazioni fortemente simboliche, che procedono dal basso verso l’alto, ossia ricostruiscono la lenta risalita verso la luce, dal male verso il bene assoluto.

La celebre “selva oscura” del peccato e dell’errore, con cui si apre il canto I dell’Inferno, rappresenta il momento più drammatico dell’esistenza di un essere umano, sull’orlo della distruzione spirituale, della morte stessa. Ma la selva oscura popolata di presenze mostruose deve essere letta in termini di relazione con il suo esatto opposto, ossia il punto più alto del paradiso, la “candida rosa” dei beati, nel cui cuore Dante può addirittura intuire la divinità (non vederla o comprenderla appieno, ma viverne una percezione istantanea e irripetibile). Raccontando il travaglio e la gioia del proprio viaggio, Dante offre ai lettori un modello di universale umanità; un modello, non perché sia esemplare o perfetto, ma perché coinvolge le dimensioni tipiche di ogni esistenza: la fede, la tensione verso il bene, l’amore, la ragione, l’errore, l’attrazione del male, la caduta nel peccato e la necessità di redenzione.

Sin dall’inizio Dante fa capire che il suo viaggio è in realtà il viaggio di tutta l’umanità; da poeta, lo fa capire con una semplicissima alternanza di prima persona singolare e di prima persona plurale: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura” (Inferno I 1-2).

Alcuni lettori della Com-media sostengono che tutto il viaggio non sia altro che la rappresentazione di un sogno, una visione orchestrata nei dettagli più rifiniti, presentata quale pura immaginazione mentale e senza ambizioni realistiche. Può essere, anche se l’autenticità del messaggio è un’altra: al termine del viaggio, il protagonista ritornerà sulla terra, riprenderà il suo cammino di esilio politico e quotidiana tribolazione, si confronterà di nuovo con le necessità di ogni giorno. L’esito della Commedia non è dunque il culmine di una marcia trionfale verso la luce, perché Dante non gode della dimensione paradisiaca se non per quanto si protrae il viaggio di conoscenza. Dopo, egli dovrà tornare a lottare, in un altro viaggio, quello terreno, vivificato e illuminato da quanto appreso nell’aldilà.

Dante diventa così profeta per gli uomini del suo tempo e per le generazioni future. E infatti, dietro alla struttura narrativa, la Commedia è soprattutto “rivelazione” (apokálypsis, secondo il termine greco che dà titolo all’ultimo libro del Nuovo Testa-mento), disvelamento della strada per la salvezza attraverso la conoscenza e la fede. La sapienza degli antichi ha bisogno della verità del cristianesimo affinché la dottrina del mondo passato non sia inutile.

Per questo motivo Dante sceglie come guida attraverso i primi due regni il poeta romano Virgilio, figura della ragione umana e sintesi di tutta la scienza antica, non ancora illuminata dalla parola di Cristo. A guidarlo dal paradiso terrestre al paradiso celeste è invece Beatrice, figura della teologia e dell’amore, sublimazione narrativa della donna amata da Dante nella sua giovinezza e protagonista della Vita nuova. Grazie a queste due guide, che si presentano nei termini del padre, della madre e della donna amata, Dante assorbe una sintesi della conoscenza universale attraverso innumerevoli esempi di personaggi e storie, dal mondo remoto del mito, dalla storia biblica e da quella romana, fino alla cronaca contemporanea.

Di conseguenza, i cento canti della Commedia, così strettamente congiunti tra loro dall’obbiettivo unico della salvezza, costituiscono anche un’enciclopedia onnicomprensiva, secondo una tipica ambizione della letteratura medioevale.