L’esser casualmente venuto a conoscenza del fatto che esiste il “Bistecca day” – giornata nazionale della bistecca, celebrata il 15 giugno scorso – mi ha spronato a scrivere di quella del 12 giugno: la “Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile”. Una scelta andava d’altra parte fatta, condivisa, discussa.Alzi la mano chi ha letto qualcosa in merito, ha saputo e partecipato a qualche iniziativa, ne ha sentito parlare alla radio o alla televisione, ha chattato sui social. Voglio sperare che qualcuno alzi la mano. Ma sarete in pochi. La ragione, tra le altre, è che il problema è percepito come lontano, non ci tocca, c’è solo in quei “poveri Paesi” che non siamo noi. E’ vero solo in parte. E l’altra parte ci deve interessare. Eccome. Sbaglieremmo se pensassimo che il lavoro minorile è un dramma che interessa solo i paesi poveri. Il lavoro minorile è una questione che ci riguarda, e molto da vicino, perché in Italia si contano oltre 340 mila lavoratori minori, bambine bambini e adolescenti, di cui a quanto ci dicono i dati, circa 28 mila coinvolti in attività nocive per la salute e la sicurezza, ai limiti dello sfruttamento. Lo dichiarava il sottosegretario Teresa Bellanova già qualche anno fa, in occasione di questa ricorrenza.

Lo ha ribadito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sottolineando che “l’Europa e l’Italia non sono esenti da questi fenomeni: soprattutto quando il bambino o il ragazzo è lasciato solo, è più facile che si trovi imbrigliato nelle reti dello sfruttamento. Siamo tutti chiamati a spezzare queste catene per contrastare ogni forma di abuso, nella consapevolezza che abbiamo bisogno che soprattutto i più giovani devono poter sviluppare appieno le loro capacità”. Sembra sempre impossibile che si possa fare qualcosa davanti a questi fenomeni più grandi di noi, inarrivabili ad una comprensione totale, gestiti da altri che non sappiamo bene chi siano, dove siano, cosa facciano. Al massimo, se proprio ci spingiamo tanto in là, possiamo farne oggetto di una rapida attenzione per una specie di cultura generale nostra. Sappiamo che esiste. Stop.
Il progresso umano a cui teniamo, visto che nessuno vuole rimanere indietro nella corsa verso lo sviluppo, passa attraverso l’abbattimento di questi fenomeni. Eliminarli vuol dire alzare i parametri del progresso. Famiglia e scuola sono le migliori alleate per la costruzione del loro futuro (e del nostro, fin che ci è dato di poterli accompagnare, poi altri lo faranno al loro turno) perché le condizioni di fragilità in cui i bambini si trovano sono il principale fattore che conduce al tunnel dello sfruttamento. Famiglia e scuola le possono e devono intercettare.
Ha fatto sentire la sua voce anche il Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha ricordato i circa 218 milioni di lavoratori minori in tutto il mondo, concentrati nei continenti più poveri, ma senza dimenticare che il fenomeno è presente anche in Europa e nel nostro Paese. “La lotta al lavoro minorile – afferma la Alberti Casellati – deve essere un obiettivo di tutti, e ogni società che voglia sentirsi veramente civile, ogni azienda nel mondo che voglia costruirsi un’immagine positiva, che non si limiti allo spot televisivo o alla pubblicità ad effetto, deve impegnarsi per raggiungerlo”.

Lo sfruttamento del lavoro minorile grida a che gli Stati favoriscano e mettano in campo iniziative concrete per contrastare la vergogna di questa moderna schiavitù. “I bambini devono poter giocare, studiare e crescere in un ambiente sereno. Guai a chi soffoca in loro lo slancio gioioso della speranza”. Così Papa Francesco in un tweet lanciato sull’account @Pontifex in occasione della Giornata.
Nel 2006 la legge italiana aveva fissato a 16 anni l’età minima di accesso al lavoro, e i dati confermerebbero che il picco del lavoro minorile si registra tra gli adolescenti, al momento del passaggio dalla scuola media a quella superiore. L’Italia ha una dispersione scolastica molto elevata rispetto ad altri Paesi europei e questo spinge a pensare alla necessità di rafforzare i progetti contro la dispersione, gli interventi di sostegno formativo per i ragazzi che hanno prematuramente abbandonato gli studi e favorire una maggiore continuità fra scuola e lavoro attraverso percorsi protetti di inserimento lavorativo. Così come si rivela necessario che non sia consentito alle importazioni di aggirare le norme previste in Italia dalla legge nazionale sul caporalato e che rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, la protezione dell’ambiente e la salute.

Carlo Maria Zorzi