“Accesso al lavoro: sfida per le donne con background migratorio tra stereotipi ed opportunità”: questo il titolo di una conferenza in programma il prossimo 9 novembre a Milano per la presentazione del progetto “Grase”, a cura della Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multiculturalità).

Sebbene dovremmo essere ormai consapevoli del valore della multiculturalità e del fatto che ogni incontro con una persona dovrebbe prescindere dal colore della pelle, quando si parla di migranti e di lavoro viene subito in mente quella frase che suona “fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare”. Come a dire che le opportunità per le persone di provenienza migratoria ci sono a patto che accettino lavori umili, non professionalizzanti, e che con difficoltà si proporrebbero ad altri cittadini.

Questo processo di più o meno consapevole acquisizione dello stereotipo legato al background migratorio, colpisce soprattutto le donne, che si vedono proporre quasi sempre e solo il lavoro – per quanto utilissimo e dignitosissimo – di badante, senza tener conto dei titoli acquisiti nel loro Paese, delle loro competenze e conoscenze o tanto meno delle loro aspirazioni. Il pregiudizio comincia immediatamente, spesso già nei centri di accoglienza e ancora di più in quelli per l’impiego. La provenienza, l’aver compiuto un percorso di studi fuori dal contesto italiano, la difficoltà del percorso che porta al riconoscimento dei titoli di studio fanno si che cali un velo di pregiudizio ed una proposta di offerte di lavoro già inquinata da discriminazioni.

Gli stereotipi li combatte anche chi presenta un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA). L’Associa-zione Italiana Dislessia (AID) con l’hashtag #lostudioèundiritto promuove una raccolta di firme per garantire il riconoscimento della legge 170 e l’uso degli strumenti compensativi anche durante il percorso universitario. Ogni studente ha diritto di accedere all’università per completare il proprio percorso di studi e, se DSA, ha diritto al riconoscimento delle misure compensative che lo mettono in grado di raggiungere i migliori risultati possibili al pari degli altri studenti. Non è un regalo o un’agevolazione, solo un diritto. Questa battaglia andrà ad integrare l’impegno che l’AID sta compiendo a favore degli adulti con DSA nell’accesso alla vita ed al lavoro.

È importante sottolineare che la lotta contro le discriminazioni ci coinvolge sempre tutti e che il riconoscimento di un diritto ricade positivamente su ognuno di noi. Essere vicini alle aspirazioni, ai sogni di una persona e aiutarla a sostenere le proprie scelte è un compito che coinvolge tutti i settori e gli ambiti di una società civile; dalle scuole, dai giocattoli proposti, dalle società sportive, dalle possibilità che la vita offre e che devono essere selezionate solo in base ai meriti e alle competenze, non orientate secondo il Paese di origine o da un disturbo dell’apprendimento.
Sostenere le donne in questo percorso diventa ancora più importante se pensiamo alle risorse che tante di esse non riescono ad esprimere perché i pregiudizi le confinano a ruoli definiti che abbassano le potenzialità individuali e che, molto spesso, non permettono loro di affrancarsi da una schiavitù economica che, abbiamo analizzato recentemente nel rapporto della Caritas, le coinvolge, ancora di più se migranti o se hanno uno o più figli a carico.

Se modifichiamo il nostro modo di vedere l’altro modifichiamo il mondo, se modifichiamo il nostro modo di vedere l’altro garantendo i diritti fondamentali, il mondo che cambiamo sarà migliore per tutti.