(Mario Berardi)

La navigazione del Governo Draghi è favorita dal vento propizio delle Cancellerie occidentali e dei mercati, ma deve evitare gli scogli di Scilla e Cariddi, ovvero la drammatica crisi dei Grillini e l’implacabile ambizione di leadership di Salvini. Alcuni segnali si sono già visti nel ritardo nella nomina dei sottosegretari e nella divisione in Commissione alla Camera sulla durata della prescrizione dei reati.

Lo scontro interno al M5S era previsto, ma non in queste proporzioni: 40 voti contro Draghi tra Camera e Senato, immediate espulsioni decise dal reggente Crimi, probabile nascita di un Movimento alternativo guidato da Di Battista. Il fondatore Beppe Grillo è sceso prepotentemente in campo contro gli scissionisti, ma il suo appeal è diminuito perché la situazione politica, con la pandemia e la crisi economico-sociale, è radicalmente cambiata.

La svolta della scelta istituzionale, l’abbandono del facile “vaffa”, l’accettazione dell’europeismo sono tappe inevitabili per aiutare il Paese a reggere: Grillo lo ha compreso, i suoi avversari interni invece rilanciano le origini protestatarie del M5S, come se nulla fosse successo nell’ultimo decennio. Con il ridimensionamento della presenza parlamentare (e con sondaggi al 15%) si fa più debole l’alleanza con Pd e Leu, peraltro rilanciata, in attesa del rientro in politica dell’ex premier Conte.

Lo stesso Pd dovrà interrogarsi sulle sue prospettive politiche, ma al centro la fragilità dei Renziani (sempre fermi al 3%) rende ancora più problematica l’alternativa. I Dem, mentre sostengono concretamente il governo Draghi, dovrebbero chiedersi le ragioni profonde dello scarso successo dell’unificazione Ds-Margherita e della fusione delle tre culture di riferimento (socialista, cattolico-democratica, liberaldemocratica), secondo il modello Prodi-Veltroni. Oggi il Pd è fermo al 20% mentre, al momento della fusione (2008) Ds e Margherita sfioravano il 35%.

La debolezza del centro-sinistra accresce il peso della Lega di Salvini, che punta a timbrare il Governo Draghi, con giornaliere prese di posizione e forti richieste. Il leader del Carroccio ha ripreso l’antico slogan del Pci quale “partito di lotta e di governo”, creando tensioni politiche nella nuova coalizione. Nella Lega, senza ripercussioni esterne, è tuttavia in atto un forte rimescolamento programmatico da parte del ministro Giorgetti, portavoce dei ceti produttivi del Lombardo-Veneto: appoggio a Draghi senza condizioni, primato all’economia, messa in quarantena delle ambizioni salviniane di premierato, svolta definitiva per l’europeismo. In altre parole una Lega solo di governo.

Per Draghi è molto positivo il pieno appoggio ricevuto da Bruxelles: la presidente Ursula von der Leyen e il commissario all’Economia Paolo Gentiloni hanno dato “via libera” al premier per varare entro il 30 aprile il Recovery Plan, affidato al nuovo ministro del Tesoro, il “fedelissimo” ex direttore generale della Banca d’Italia Daniele Franco; questa scadenza dà serie speranze di rilancio della vita produttiva, anche con un congruo anticipo dei finanziamenti dell’UE di 209 miliardi. Il cammino delle leggi finanziarie dovrebbe essere spedito alle Camere, com’è avvenuto per il mille-proroghe, senza barricate “amiche”. La stessa Meloni, dall’opposizione, ha garantito un atteggiamento costruttivo.

Più complesso l’iter delle vaccinazioni, per i ritardi nelle forniture all’Unione Europea e per i limiti del piano Arcuri. Ora il premier intende coinvolgere tutte le forze disponibili, compreso il Ministero della Difesa, e utilizzando le scuole, le fabbriche e, soprattutto, i medici di famiglia, presenza essenziale sul territorio.

Gli impegni che attendono il nuovo Governo sono realmente straordinari: per questo le forze politiche, almeno in questa fase, debbono mettere la sordina alle loro divisioni (e alle ambizioni) e concentrarsi sull’urgenza delle misure da varare: sono più importanti della disputa (deludente) sul numero di sottosegretari da… portare a casa.

La lotta alla pandemia e alla crisi economico-sociale sarà lo spartiacque del futuro scenario politico: l’adesione di larga parte degli italiani al drammatico appello del presidente Sergio Mattarella significa che la Terza Repubblica comincia ora, con la necessità di saper distinguere quello che unisce il Paese da quello che divide.

Di alcuni temi, divisivi, il premier ha scelto di non fare cenno alcuno nel suo discorso alle Camere, consapevole della fragilità del quadro politico e, contestualmente, del poco tempo a disposizione. Sarà già un miracolo varare le tre riforme chieste da Bruxelles - fisco, giustizia civile, pubblica amministrazione – e, contestualmente, mettere d’accordo Confindustria e sindacati.