(Fabrizio Dassano)

Ci accolgono in cima alle scale nello spazio occupato dal grandioso organo della cattedrale i fratelli Marzi, Stefano e Giovanni, titolari della “Marzi Italo snc” di Pogno, sul Lago d’Orta in provincia di Novara. Lo si vede subito che oltre al lavoro qui si tratta di passione: lo cogli dai lampi che gli attraversano gli occhi quando iniziano a parlarti di questo organo imponente che ha la canna metallica più grande di 4 metri d’altezza e quella lignea di 6 metri: “21 piedi – spiega Stefano – è una misura organaria che non ha risentito del Sistema metrico decimale imposto da Napoleone perché il mondo degli organari è un mondo che non ha grandi contatti con l’esterno e così ha mantenuto le sue tradizioni.”

Il tempo qui è scandito dagli interventi di manutenzione e restauro che oltrepassano le generazioni: parte dal primo nucleo creato nel 1774 dai fratelli Giovanni Battista e Francesco Maria Concone, organari di casa Savoia, ed ampliato a regola d’arte nel 1790 da Andrea Luigi Serassi, che aggiunse la seconda tastiera (organo Eco) e portò le tastiere a 54 tasti e lo si presentava così: il Grand’organo era formato da 3 principali (uno da 16 piedi e i rimanenti da 8), 9 registri di ripieno e 9 registri per gli strumenti. Al pedale erano presenti contrabbassi, bassi al pedale, timpani e sistro. Mentre l’organo Eco era formato dal principale unisono di 8 piedi, 5 registri di ripieno e 5 registri per gli strumenti.

Nella prima metà dell’Ottocento i problemi di capienza della cattedrale portarono ai lavori di ampliamento dell’edificio, con l’allungamento di due campate e il trasloco della facciata tra il 1853 e il 1857. “Questi lavori – continua Giovanni – comportarono lo smontaggio e poi il rimontaggio dell’organo”. Il compito fu affidato all’organaro Felice Bossi, che propose un importante ampliamento dello strumento. Sarà suo nipote Carlo I Vegezzi-Bossi che opererà le modifiche del 1906 per via della Riforma Ceciliana (da S. Cecilia, patrona della musica): anche l’arte organaria risentì dell’influsso di questo movimento, e si eliminarono tutti quei registri detti “da concerto”, tipici dell’organo italiano dell’Ottocento, a favore di sonorità meno fragorose. Si sostituirono, quindi, ance e mutazioni con fondi, prevalentemente di 8’, e registri violeggianti.

Le maggiori case organarie che attuarono queste direttive nei loro strumenti furono soprattutto William George Trice e Pietro Anelli in Liguria, Mascioni e Tamburini in Lombardia, Carlo Vegezzi Bossi e Alessandro Mentasti in Piemonte, Pugina e Malvestio in Veneto. Il restauro odierno, dopo più di un secolo ha visto lo smontaggio di tutte le parti (anche dei somieri) e il loro restauro. Sono sono stati ricostruiti gli originali registri di Clarone 4’ al G.O. e Ottavino all’O.E, mantenendo i registri di Bordone e Violino al Grand’Organo e voluti dal Vegezzi-Bossi. Inoltre, per rendere più completo lo strumento, è stato costruito e aggiunto un registro ad ancia di 4’ al pedale. Ma mi faccio spiegare da Stefano il tipo di lavoro fatto ed entriamo letteralmente “dentro” l’organo in angusti corridoi tra centinaia e centinaia di canne di ogni dimensione, saliamo delle scale a pioli per raggiungere altri due piani, che loro chiamano i “passi d’uomo” sorta di praticabili che richiamano alla mente i praticabili del teatro barocco sospesi sul boccascena. Poi Stefano apre delle

cassettine di legno che sono tubature dell’aria che tengono delle valvole e mostra questi coperchi che hanno smontato e rifatto tutte le guarnizioni con pelle morbidissima d’agnello. In tutte queste condotte si capisce che l’aria è veramente il fiato di questa musica: Giovanni mi accompagna nel sottotetto della facciata della cattedrale a vedere i poderosi mantici azionati oggi dai motori elettrici, un’altra macchina della meraviglia sonora di questo luogo.

Poi arrivano e poggiano sul tavolo, tra gli attrezzi di lavoro delle carte che hanno ritrovato, usate come spessori, una scritta sulla tavola di pioppo sotto la tavola di perno delle manette dei registri: “È la scrittura di Fedele Ottina, capomastro dal 1885 al 1910 di Carlo Vegezzi Bossi” spiega Stefano e che vi presentiamo in anteprima e che si riferisce al 1906: “Io Ottina Fedele nato a Novara, anni 47 fui destinato a riformare quest’organo nell’anno 1888 organista m… Io Ottina Fedele dopo aver viagiato mezzo mondo Sicilia Calabria Romagna America del Sud Chile tiera del Fuego toccato il Brasile Francia e Spagna, di nuovo tocò a me a riformare quest’organo e renderlo nel limite della spesa e del possibile liturgico del cav. Carlo Vegezzi Bossi di Torino quando tu … dei più tanti”. Una testimonianza della fortuna dell’impresa di Carlo Vegezzi Bossi attivo in tutto il mondo.

Altre due cartoline sono state ritrovate e sono la corrispondenza da Ivrea del medesimo Ottina a Carlo Vegezzi Bossi con richieste di chiarimenti tecnici. “Materiale che fa parte della preziosa testimonianza del mondo degli organari, e di chi questo organo la suonato come la targa che abbiamo trovato, questa recente; che ricorda il maestro Angelo Burbatti e fatta eseguire nel 2018 dal Capitolo dei Canonici della Chiesa Cattedrale, compositore e organista dal 1905 al 1946.”

L’organo della Cattedrale di Ivrea, è considerato uno dei più grandi organi italiani ottocenteschi in Piemonte esistente oggi. Stefano da ragazzo era già stato a Ivrea con il padre Italo a lavorare sull’organo di S. Lorenzo nel 1985, e per i fratelli i prossimi lavori li vedranno a Ottiglio Monfer-rato, Gattico e Zuccaro in Valsesia per alimentare la passione per il restauro filologico.