Foto: Jan van EyckStigmate di san Francesco (1430-32; Philadelphia Museum of Art).

Chi era frate Leone, se non il compagno più vicino a frate Francesco, il poverello d’Assisi? Il discepolo silenzioso, lo scriba fidato, colui che non cercava visibilità, ma che c’era sempre, nei momenti cruciali, al fianco del suo fratello più celebre. Non lo superava in parola e in carisma, ma lo completava nel silenzio. Dove Francesco accendeva il fuoco, Leone lo custodiva. Dove il primo parlava alle folle, il secondo trascriveva con cura. Dove uno riceveva le stimmate, l’altro vegliava accanto; il confidente fidato soprattutto negli anni della sofferenza.

In una piccola radura tra gli Appennini, dove il silenzio della preghiera incontra la voce della natura, un frate dal cuore mite camminava a fianco di un altro; Francesco e Leone. Il primo, ben noto per la sua radicalità evangelica e la sua predilezione per gli ultimi, considerava l’altro come fratello d’anima.

Lo chiamava “pecorella di Dio”, e in lui trovava uno specchio di umiltà, una presenza discreta ma costante. La sua fedeltà non era servile, ma carica di una dolce forza, quella di chi segue senza voler primeggiare. Francesco, nel suo testamento, gli si rivolge con affetto speciale: un rapporto umano che diventa modello spirituale.

La relazione tra Frate Francesco e Frate Leone è una delle più intense e toccanti nella storia della spiritualità cristiana, non tanto per eventi eclatanti, quanto per la sua profonda tenerezza e spiritualità vissuta.

Leone fu il copista personale di Francesco, ma non solo: custodì con delicatezza le parole, i gesti, le visioni del santo, diventando uno scrigno vivente della memoria francescana. E fu anche testimone delle stimmate di Francesco sul monte della Verna. Fu lui, insieme a pochi altri, a custodirne il segreto inizialmente, e a raccontare poi l’evento straordinario. La sua presenza accanto a Francesco, in quel tempo di dolore e gloria mistica, mostra quanto la loro unione fosse profonda: una fratellanza nel silenzio, nella povertà, nella preghiera e nella sofferenza. Anche dopo la morte di Francesco, Leone rimase strenuo difensore della sua eredità autentica.

Quello tra Francesco e Leone non fu solo affetto personale, fu un’amicizia mistica. Francesco vedeva in Leone l’umile che Dio ama e vi trovava la carezza silenziosa del Vangelo. E in Francesco, Leone riconosceva il volto trasfigurato di Cristo povero. Se Francesco spingeva la Chiesa ad “uscire”, a farsi povera tra i poveri, a preservare la terra, a lavare i piedi del mondo, Leone custodiva e consolidava, rendeva stabile la visione. Se Francesco tendeva la mano, Leone rafforzava il cammino.

Ogni Francesco ha bisogno del suo Leone. Ogni voce profetica, del suo custode. Ogni slancio, della sua memoria. Dopo chi spalanca le finestre, c’è chi si accerta che la luce resti accesa, non per chiudere il vento fuori, ma per permettere al fuoco di durare. Tra le pagine della Storia e quelle del Vangelo, si traccia una linea sottile e potente; un frate e il suo amico, dove la speranza non si spegne, ma viene affidata per essere trascritta nella carne della storia. Come nei boschi dell’Umbria medioevale, dove frate Francesco e la “pecorella di Dio” Leone camminavano insieme, uno parlava e l’altro scriveva, uno soffriva e l’altro pregava per lui, ci è detto che la vera forza non è nel comando, ma nella fedeltà che ancora può cambiare il mondo, cercando Dio nei volti degli uomini, partendo dagli ultimi.