Immagine generata con I.A.

C’è un sentimento strisciante, sempre più diffuso ma raramente dichiarato: la democrazia dà fastidio. Non tanto per i suoi principi (tutti sempre pronti a dirsi democratici, ovviamente), ma per la sua pratica quotidiana, faticosa, piena di intoppi, di compromessi, di tempi lunghi. La democrazia non funziona come un algoritmo: discute, si ferma, sbaglia, riparte.

E questo, oggi, pare intollerabile. La democrazia è un esercizio di pazienza collettiva; chiede di ascoltare chi la pensa diversamente, di accettare che le decisioni arrivino dopo lunghe mediazioni, di comprendere che nessuno può avere sempre l’ultima parola. È un sistema che non vive di ordini, piuttosto di dialogo, non di imposizioni.

Ma in un’epoca che idolatra la rapidità, la decisione istantanea, la soluzione immediata, la democrazia è come un lusso d’altri tempi con limiti, controlli, trasparenza. Costringe a negoziare, a spiegare, a convincere. Non è un caso che si cerchino scorciatoie: il consenso si coltiva più facilmente nella semplificazione che nella complessità.

Il fastidio per la democrazia non nasce solo nelle stanze del potere. Nasce anche nel corpo elettorale. Lo si vede nelle urne, o meglio: nel vuoto delle urne. L’astensionismo ormai è il primo partito, e non da ieri. È un voto silenzioso ma fragoroso, un segnale drammatico di sfiducia e disillusione. Non votare è diventato il modo più diffuso per dire “non credo più in questo gioco”. Ed è qui che la democrazia si incrina: quando la gente smette di crederci, e non servono colpi di stato per farla morire, basta l’indifferenza.

Eppure, con tutti i suoi difetti, la democrazia resta l’unico sistema che ci consente di sbagliare insieme, ma anche di correggerci insieme. È scomoda, certo. È lenta, imperfetta, a volte persino irritante. Ma è la sola che ci obbliga a restare umani, a misurarci con la complessità del mondo e con le opinioni degli altri.

Chi si lamenta della lentezza della democrazia, in fondo rimpiange la velocità del comando. Chi trova inutile il dialogo, sogna l’obbedienza. Ma non c’è efficienza che valga la libertà, e non c’è ordine che valga la voce di chi dissente. Il fastidio per la democrazia è il lusso di chi si è dimenticato quanto costa perderla.