C’è un filo che unisce la breve sosta di Papa Leone ad Assisi (anche per ricordare l’ottavo centenario della morte di San Francesco) e le sue parole a conclusione dell’assemblea dei vescovi italiani: è il filo, resistente e fragile allo stesso tempo, della fraternità. Il Pontefice definisce questo nostro tempo come “segnato da fratture”, e chiede alla Chiesa italiana di farsi laboratorio di relazioni autentiche, officina di “cultura dell’incontro”.
Una Chiesa viva che non osserva da lontano ma vive tra la gente, e papa Leone, vescovo di Roma e primate d’Italia, le indica la strada maestra; tornare alla sorgente e all’essenziale, riscoprire la forza di una fede che si traduce in fraternità concreta, che costruisce ponti quando il mondo alza muri. Il Papa è netto sul cammino sinodale che non può restare un esercizio di stile, ma serve continuità e scelte, anche quando sono scomode.
E parla ai vescovi dell’accorpamento delle diocesi che non è un tabù da aggirare né un capitolo da riaprire: è un passaggio necessario, “per unire le forze” e dare nuova vitalità alle comunità più piccole, spesso in affanno per mancanza di risorse umane. Una Chiesa meno frammentata, più coordinata, più capace di corresponsabilità, “comunità aperte, ospitali e accoglienti, nelle quali le relazioni si traducono in mutua corresponsabilità a favore dell’annuncio del Vangelo”.
Il Pontefice allarga poi lo sguardo sui media digitali dove il passo è ancora incerto per tanti; suggerisce di “educare ad abitare il digitale in modo umano, senza che la verità si perda dietro la moltiplicazione delle connessioni infinite, perché la rete sia uno spazio di libertà, responsabilità e fraternità”.
Papa Leone ricorda che nessuna tecnologia dispensa dalla fatica del discernimento e che camminare insieme significa “una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze” stando vicini alle famiglie, ai giovani, agli anziani, a chi vive in solitudine. “Abbiate cura dei poveri”, ricorda ai vescovi del nostro Paese.
È una Chiesa “in uscita” quella tracciata dal Papa, ma anche “in ascolto”, chiamata a dare risposte e prima ancora a condividere le domande e le ferite delle comunità; una Chiesa che respira nella storia, che non ha paura di riformarsi e che, proprio per questo, diventa generatrice di speranza.


